Per il Consiglio Nazionale delle Corporazioni
(21 aprile 1930)


      Il 21 aprile, nell'aula massima del Palazzo Senatorio in Campidoglio, S. E. Mussolini, presidente del Consiglio Nazionale delle Corporazioni, presenziò alla seduta inaugurale del Consiglio stesso. In questa occasione il Duce pronunciò il seguente discorso:

      Camerati! Signori!
      Prima di tracciare le linee di questo discorso ho voluto rileggere sulla Gazzetta Ufficiale il testo della legge 20 marzo 1930, n. 206, che istituisce il Consiglio nazionale delle Corporazioni. L'ho voluto rileggere per definire nella maniera più sintetica possibile l'istituto che ho il piacere e l'onore di inaugurare in questo giorno: Natale di Roma e Festa del Lavoro.
      La definizione può essere questa: il Consiglio nazionale delle Corporazioni è, nell'economia italiana, quello che lo Stato Maggiore è negli Eserciti: il cervello pensante che prepara e coordina. La similitudine militare non vi dispiacerà, poiché quella che l'economia italiana deve combattere è veramente una rude, incessante guerra che richiede uno Stato Maggiore, dei quadri, delle truppe che siano, per il loro compito, all'altezza della situazione.
      L'economia italiana è qui rappresentata nelle sette Sezioni specificate nell'articolo 4 della legge, che certamente ognuno di noi conosce a memoria, anche perché è stata, durante due anni, dibattutissima. Ma questo Stato Maggiore ristretto si allarga nell'assemblea generale, quando all'ordine del giorno ci siano questioni, appunto, di ordine generale.
      È perfettamente logico che siano chiamati a partecipare all'assemblea generale i dirigenti del P.N.F. il quale, avendo fatto la Rivoluzione, non può essere mai straniato dagli istituti che la Rivoluzione stessa realizza in ogni campo; taluni direttori dei Ministeri interessati, utilissima innovazione per approfondire e rendere costanti i contatti tra le forze vive della Nazione e gli strumenti esecutivi delle amministrazioni dello Stato; il presidente delle Associazioni dei Mutilati e dei Combattenti, non solo per i problemi specifici interessanti quelle due categorie, ma per un riconoscimento morale dei loro sacrifici in guerra e della loro funzione in pace; e, finalmente, dieci persone che chiamerò esperti o piuttosto «periti», affermazione questa di notevole rilievo in quanto il Regime fascista non vuole esiliare la dottrina e gli uomini di pensiero o rinchiuderli nei loro studi o nei loro laboratori, ma desidera avere da essi un apporto concreto per le risoluzioni dei problemi economici, problemi che dopo le grandi guerre, dalle Puniche in poi, hanno sempre gravemente tormentato i popoli.

(segue...)