Michele Bianchi
(3 marzo 1930)
Il 3 marzo,
riaprendosi la Camera, la prima seduta fu dedicata alla
commemorazione del Quadrumviro Michele Bianchi, morto il 3 febbraio
1930. In questa occasione il Duce pronunziò il seguente
discorso:
Onorevoli Camerati!
Durante quindici anni Michele
Bianchi ha collaborato con me, ha diviso la mia fatica, ha camminato
verso la stessa meta. È il quindicennio, glorioso e
sanguinoso, della guerra e della Rivoluzione fascista. È tutta
una vita o la parte più importante di una vita. Lascio ai
biografi di professione il Bianchi di prima del 1914 e intendo,
invece, di evocare dinanzi a noi il Bianchi dei Fasci di azione
rivoluzionaria del 1915, dei Fasci di combattimento del 1919, così
come mi è apparso nella consuetudine del lavoro comune e nelle
vicende di una lunga battaglia, che ha duramente provato il fisico e
il morale degli uomini che l'hanno sostenuta. La personalità
politica e spirituale di Michele Bianchi si presenta nella mia
memoria con contorni nettissimi, con caratteristiche precise.
Lo rivedo nella redazione
tumultuaria di un giornale in via Paolo da Cannobio, alla tribuna per
una adunata di popolo, come a Napoli, in una riunione di capi, come
il 16 ottobre del '22 in via San Marco, a Milano, alla testa di un
Ministero.
Che cosa lo distingue? La sua è
una intelligenza meditativa. Il prorompere degli entusiasmi è
frenato in lui dalla ragione e dal senso acuto di responsabilità.
Più questa aumenta e meno egli parla o scrive. Monito a quei
fascisti, i quali talora sembrano dimenticare che quando un Partito è
diventato Regime e governa un Popolo, ogni capo o gregario deve
seriamente ponderare non solo gli atti, ma anche le parole.
Michele Bianchi è un fedele
come tutte le Camicie nere che si sono battute disinteressatamente
per il trionfo del Regime. Non mi ha mai presentato il conto delle
sue benemerenze fasciste, pur grandissime e indiscutibili; non mi ha
mai poste delle «condizioni» alla sua obbedienza, delle
riserve alla sua disciplina; non ha mai preteso che la sua «prima
ora» veramente autentica, la sua intransigenza sostanziale, e
non formale, si convertissero in un privilegio o in una «carriera».
(segue...)
|