(segue) Messaggio per l'anno nono
(27 ottobre 1930)
[Inizio scritto]

      Camerati!
      Ciò vi spiega come la lotta si svolga ormai sopra un terreno mondiale e come il Fascismo sia all'ordine del giorno in tutti i Paesi, qua temuto, là implacabilmente odiato, altrove ardentemente invocato. La frase che il Fascismo non è merce d'esportazione, non è mia. È troppo banale. Fu adattata da qualcuno a lettori di giornali che per capire hanno bisogno di espressioni della pratica mercantile. Comunque va corretta. Oggi io affermo che il Fascismo in quanto idea, dottrina, realizzazione, è universale; italiano nei suoi particolari istituti, esso è universale nello spirito, né potrebbe essere altrimenti. Lo spirito è universale per la sua stessa natura. Si può quindi prevedere una Europa fascista, una Europa che inspiri le sue istituzioni alle dottrine e alla pratica del Fascismo. Una Europa cioè che risolva, in senso fascista, il problema dello Stato moderno, dello Stato del XX secolo, ben diverso dagli Stati che esistevano prima del 1780 o che si formarono dopo. Il Fascismo oggi risponde ad esigenze di carattere universale. Esso risolve infatti il triplice problema dei rapporti fra Stato e individuo, fra Stato e gruppi, fra gruppi e gruppi organizzati.
      Per questo noi sorridiamo quando dei profeti funerei contano i nostri giorni. Di questi profeti non si troverà più non solo la polvere, ma nemmeno il ricordo, e il Fascismo sarà vivo ancora. Del resto ci occorre del tempo, moltissimo tempo, per compiere l'opera nostra. Non parlo di quella materiale, ma di quella morale. Noi dobbiamo scrostare e polverizzare, nel carattere e nella mentalità degli italiani, i sedimenti depostivi da quei terribili secoli di decadenza politica, militare, morale, che vanno dal 1600 al sorgere di Napoleone. È una fatica grandiosa. Il Risorgimento non è stato che l'inizio, poiché fu opera di troppo esigue minoranze; la guerra mondiale fu invece profondamente educativa. Si tratta ora di continuare, giorno per giorno, in quest'opera di rifacimento del carattere degli italiani. Si deve, ad esempio, al costume di quei tre secoli la leggenda che gli italiani non si battessero. Ci volle il sacrificio e l'eroismo degli italiani, durante le guerre di Napoleone, per dimostrare il contrario. Gli italiani del primo Rinascimento, infatti, gli italiani dei secoli XI, XII e XIII, erano nature ferrigne, che nel combattimento portavano tutto il loro coraggio, il loro odio, il loro furore. Nessun popolo ha, come l'italiano, il coraggio di rischiare la vita. Ma l'eclissi dei secoli della decadenza pesa ancora sul nostro destino, poiché ieri, come oggi, il prestigio delle nazioni è determinato in linea quasi assoluta dalle loro glorie militari, dalla loro potenza armata. Accanto a quest'opera che è il mio tormento e la mia meta e che potrebbe prendere a motto i verbi: lavorare, odiare, tacere — procede l'altra. Nel 1932, decimo annuale della Rivoluzione, lavori di grande mole saranno compiuti. Cinquanta Battaglioni di Camicie Nere si aduneranno a Roma insieme con 50.000 giovani fascisti e i novemila gagliardetti dei novemila Fasci di Combattimento. Roma vedrà la più grande adunata di armati dei suoi tre millenni di storia. Altre grandi adunate saranno tenute a Milano, Perugia, Napoli.

(segue...)