(segue) Alla Conferenza del grano
(26 marzo 1931)
[Inizio scritto]

      Dico da ultimo — ma non è la cosa meno importante per il lavoro di questa conferenza — che, per quanto riguarda la posizione dei paesi esportatori di grano dell'Europa orientale e centrale, essa si è notevolmente chiarita e agevolata, mercé l'opera valida compiuta, nel febbraio scorso, sotto gli auspici della Società delle Nazioni, dalla commissione di studio per l'unione europea.
      Consentite ora che mi domandi: che cosa si aspetta, che cosa si può e si deve aspettare da questa conferenza? Non voglio minimamente preoccupare le sue deliberazioni, ma non posso esimermi da un rilievo che mi sembra meritare tutta la vostra attenzione, perché investe l'argomento cardinale del vostro programma.
      A proposito della crisi generale, è stata ed è tuttora viva la disputa se quella dipenda da un eccesso di produzione o da una deficienza di consumo. La stessa controversia si agita nei rispetti della depressione agraria e più specialmente nei rispetti del grano.
      Lasciando stare il soggetto generale, veniamo alla questione che qui ci preme: gli agricoltori coltivano troppo frumento o gli uomini mangiano troppo poco pane? Ebbene, i documenti preparati dall'Istituto e che avrete già esaminati, dimostrano che la più copiosa produzione di grano avutasi negli ultimi anni avrebbe dovuto essere assorbita dalla crescita normale della popolazione in tutto il mondo. Vuol dire, dunque, che si è rallentato il ritmo del consumo.
      Questo fatto sussiste, e se ne dà anche la spiegazione. Nel migliorato tenore di vita delle moltitudini urbane e rurali, quale si venne formando dopo la fine della guerra, il pane ha fatto un po' di posto a cibi più scelti.
      Ne consegue un'altra questione: si può considerare come permanente o durevole questa tendenza della produzione granaria a superare il ritmo del movimento demografico per effetto del declinante consumo di pane? La questione è di gran momento per la conferenza. Di fatti, i vari programmi di restringimento della produzione tendono, qua e là, a trasferirsi dall'ambito industriale all'ambito agrario.

(segue...)