(segue) Il Duca degli Abruzzi
(20 marzo 1933)
[Inizio scritto]

      Egli meritava il titolo di «Eroe» nel significato più vasto e profondo del termine. Spregiatore degli agi, del riposo, delle futili se anche tal volta inevitabili cosiddette mondanità, egli amava il rischio con le sue incognite, il pericolo con le sue seduzioni, la solitudine con i suoi silenzi, che pongono finalmente l'uomo a contatto con l'essenziale e l'eterno.
      Egli fece della sua vita una ininterrotta, severa milizia e nelle opere di pace e in quelle di guerra preferì, al molle, il clima duro. Taciturno, come coloro che molto videro e molto compresero, schivo di clamori e di onori, come i privilegiati che non sanno sostare nemmeno per raccogliere l'alloro della gloria, poiché una segreta indomita volontà li sospinge ad andare più oltre.
      Anche morendo, egli ha rivelato la sua anima, chiedendo di rimanere nella terra somala da lui con sacrificio incessante, con quotidiano, umile lavoro, chiamata alla fertilità.
      I gagliardetti abbrunati delle Camicie nere si inchinano oggi, con atto di reverenza e di amore, sulla salma del Principe Sabaudo.
      Egli si avvia tra le grandi ombre, salutato dal nostro appello, che echeggia potente dai lidi della Madre Patria a quelli dell'Oceano Indiano. Il Duca degli Abruzzi è presente fra noi e presente rimarrà nel memore, fedele cuore del popolo.