(segue) Dopo le grandi manovre
(25 agosto 1934)
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      Signori Ufficiali!
      Nessuno, nell'Europa contemporanea, vuole deliberatamente la guerra. Meno di chiunque l'Italia, e ne ha date innumerevoli, positive documentazioni.
      Ciò non di meno la guerra è nelle possibilità e può scoppiare d'improvviso, da un minuto all'altro. In taluni Paesi lontani è già in atto. Anche in Europa, alla fine di luglio, si è determinata improvvisamente, drammaticamente, una situazione che ricordava in una maniera singolare quella del 1914.
      Si può anche aggiungere che, se noi non avessimo per misura precauzionale mandato rapidamente le Divisioni al confine nord e nord-est, v'era il pericolo di quelle complicazioni che a un certo momento non si risolvono se non con l'intervento armato. Aggiungerò anche che queste Divisioni hanno marciato in una maniera magnifica: con tappe di sessanta e persino di centosette chilometri, con un morale fortissimo che ha suscitato l'ammirazione ed il rispetto delle popolazioni di frontiera. Non bisogna quindi essere preparati alla guerra domani, ma oggi.
      Stiamo diventando e diventeremo sempre più, perché lo vogliamo, una Nazione militare. Poiché non abbiamo paura delle parole, aggiungeremo: militarista. Per completare: guerriera, cioè dotata in grado sempre più alto della virtù dell'obbedienza, del sacrificio, della dedizione alla Patria.
      Questo significa che tutta la vita della Nazione, la politica, l'economica, la spirituale, deve convogliarsi verso quelle che sono le nostre necessità militari.
      La guerra fu definita la corte di cassazione fra i popoli. E, poiché i popoli non si cristallizzano, ma seguono le linee della loro forza e del loro dinamismo storico, ne consegue che, malgrado tutte le conferenze, tutti i protocolli e tutte le più o meno pietose e buone intenzioni, il fatto guerra, come rimane all'origine della storia umana, si può prevedere che l'accompagnerà ancora nei secoli che verranno.

(segue...)