(segue) All'assemblea delle Corporazioni
(10 novembre 1934)
[Inizio scritto]

      Formate le ventidue Corporazioni, da oggi esse iniziano la loro vita effettiva ed operante, in ogni singolo settore e tutte insieme, per i problemi d'ordine generale, cioè politici, in questa assemblea che da oggi incomincia anch'essa a vivere e sostituirà, a suo tempo, un altro istituto che appartiene ad una fase storica sorpassata.
      Occorre ripetere ancora una volta che le Corporazioni non sono fine a se stesse? Ma strumenti per il raggiungimento di determinati scopi? Ormai questo è un «dato» comune.
      Quali sono gli scopi? All'interno una organizzazione che raccorci con gradualità ed inflessibilità le distanze tra le possibilità massime e quelle minime o nulle della vita. È ciò che io chiamo una più alta «giustizia sociale».
      In questo secolo non si può ammettere l'inevitabilità della miseria materiale, si può accettare soltanto la triste fatalità di quella fisiologica. Non può durare l'assurdo delle carestie artificiosamente provocate. Esse denunciano la clamorosa insufficienza del sistema.
      Il secolo scorso proclamò l'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, e fu una conquista di portata formidabile; il secolo fascista mantiene, anzi consolida questo principio, ma ve ne aggiunge un altro non meno fondamentale: la eguaglianza degli uomini dinanzi al lavoro inteso come dovere e come diritto, come gioia creatrice che deve dilatare e nobilitare l'esistenza, non mortificarla o deprimerla. Tale eguaglianza di base, non esclude anzi esige la differenziazione nettissima delle gerarchie dal punto di vista delle funzioni, del merito, delle responsabilità.
      Di fronte all'esterno la Corporazione ha lo scopo di aumentare senza sosta la potenza globale della Nazione per i fini della sua espansione nel mondo.

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