(segue) All'assemblea delle Corporazioni
(10 novembre 1934)
[Inizio scritto]
È bene affermare il valore
internazionale della nostra organizzazione, poiché è
solo sul terreno internazionale che si misureranno le razze e le
Nazioni, quando l'Europa, fra qualche tempo, malgrado il nostro fermo
e sincerissimo desiderio di collaborazione e di pace, sarà
nuovamente arrivata a un altro bivio del suo destino.
Oggi, 10 novembre dell'anno XIII,
la grande macchina si mette in moto. Non bisogna attendersene
immediati miracoli. Anzi di miracoli non bisogna attenderne affatto,
specie se continuerà il disordine politico, economico, morale
di cui soffre tanta parte del mondo.
Il miracolo non appartiene alla
economia. Alla politica, di cui l'economia è un elemento e una
forza, appartengono una volontà, una organizzazione, un
metodo.
Bisogna prepararsi ad una fase
sperimentale più o meno lunga e bisognerà, circa il
rendimento, contare, oltre che sull'efficacia delle cose, sulle
indispensabili rettifiche alla mentalità degli uomini e sulla
loro selezione al vaglio della prova. Il che, per l'opera del
Fascismo, sta avvenendo.
Riconosciuto che la crisi è
del sistema, e quanto è accaduto e accade lo riconferma,
bisogna coraggiosamente andare verso la creazione di un nuovo
sistema: il nostro: l'economia disciplinata, potenziata, armonizzata,
in vista sopra tutto di una utilità collettiva, dai produttori
stessi: imprenditori, tecnici, operai, attraverso le Corporazioni
create dallo Stato, il quale rappresenta il tutto e cioè
l'altra faccia del fenomeno: il mondo del consumo.
Quali svolgimenti possa avere
l'ordinamento corporativo in Italia e altrove, dal punto di vista
della creazione e della distribuzione dei beni, è prematuro
dire: il nostro è un punto di partenza non un punto di arrivo.
Ma poiché il corporativismo
fascista rappresenta il dato «sociale» della Rivoluzione,
esso impegna categoricamente tutti gli uomini del Regime, dovunque e
comunque essi siano inquadrati, a garantirne lo sviluppo e la feconda
durata.
(segue...)
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