(segue) Dichiarazioni al Senato per la vertenza italo-etiopica
(14 maggio 1935)
[Inizio scritto]
Giova d'altra parte sottolineare
che, finora, il numero degli operai partiti supera forse quello dei
soldati; ma voglio aggiungere subito, e nella maniera più
esplicita e solenne, che manderemo tutti i soldati che riterremo
necessari, e che nessuno può arrogarsi l'arbitrio
intollerabile di interloquire su quanto concerne il carattere ed il
volume delle nostre misure precauzionali. (Vivissimi e prolungati
applausi). Nessuno può essere giudice in siffatta
delicatissima materia all'infuori dell'Italia, la quale ha nella sua
storia una drammatica, sanguinosa e non dimenticata esperienza al
riguardo. Desidero di venire domani rimproverato per eccesso, non mai
per difetto, quando siano in gioco la sicurezza delle nostre Colonie
e la vita anche di un solo dei nostri soldati metropolitani o
indigeni. (Vivi applausi).
Per quanto riguarda lo svolgimento
diplomatico della vertenza, è ormai noto che noi non ci siamo
rifiutati a conversazioni con i rappresentanti del Governo etiopico,
ed abbiamo già da tempo comunicato ad Addis Abebà che
siamo disposti, per parte nostra, a nominare i due rappresentanti
dell'Italia nel Comitato di conciliazione.
Ma è nostro dovere di non
coltivare, e meno ancora diffondere illusioni, dati i notevoli
armamenti etiopici, gli avanzati preparativi di mobilitazione
etiopica, e dato, soprattutto, lo stato d'animo dominante ad Addis
Abebà, specie fra i capi minori, ostili a qualsiasi accordo
con l'Italia.
Quanto all'Europa ed alle
deprecabili subitanee eventualità che potessero verificarsi,
desidero riconfermare al Senato che noi manterremo in armi, per tutto
il tempo necessario, le tre classi del 1911, 1913, 1914, più
una classe — quella del 12 — di riserva, pronta.
Ritengo che un totale di
800-900.000 soldati sia sufficiente a garantire la nostra sicurezza.
Sono uomini perfettamente inquadrati, con un morale che si può
chiamare senza esagerazione superbo, e muniti di armi sempre più
moderne, fabbricate dalle nostre industrie di guerra, le quali, non
svelo un segreto, lavorano da alcuni mesi in pieno.
(segue...)
|