(segue) Il piano regolatore della nuova economia italiana
(23 marzo 1936)
[Inizio scritto]

      Arrivo ora ad un punto molto importante del mio discorso: a quello che chiamerò «il piano regolatore» dell'economia italiana nel prossimo tempo fascista. Questo piano è dominato da una premessa: l'ineluttabilità che la Nazione sia chiamata al cimento bellico. Quando?
      Come? Nessuno può dire, ma la ruota del destino corre veloce. Se così non fosse, come si spiegherebbe la politica di colossali armamenti inaugurata da tutte le Nazioni? Questa drammatica eventualità deve guidare tutta la nostra azione. Nell'attuale periodo storico il fatto guerra è, insieme con la dottrina del Fascismo, un elemento determinante della posizione dello Stato di fronte all'economia della Nazione.
      Come dissi a Milano nell'ottobre 1934, il Regime fascista non intende statizzare o, peggio, funzionarizzare l'intera economia della Nazione; gli basta controllarla e disciplinarla attraverso le Corporazioni, la cui attività da me seguita è stata di grande rendimento ed offre le condizioni di ulteriori metodici sviluppi. Le Corporazioni sono organi dello Stato, ma non organi semplicemente burocratici dello Stato.
      Vado all'analisi. Il fondamentale settore dell'agricoltura non è — nella sua struttura — suscettibile di notevoli cambiamenti. Nessuna innovazione sostanziale alle forme tradizionali dell'economia agricola italiana: esse rispondono bene allo scopo, che è quello di assicurare il fabbisogno alimentare del Popolo Italiano e fornire talune materie prime alle industrie. L'economia agricola resta quindi un'economia a base privata, disciplinata e aiutata dallo Stato perché raggiunga medie sempre più alte di produzione, ed armonizzata attraverso le Corporazioni con tutto il resto dell'economia nazionale. V'è da affrontare e risolvere il problema dell'avventiziato agricolo o bracciantato, su linee che il Fascismo ha già tracciato.

(segue...)