Crepuscolo
(13 giugno 1937)
Da Il Popolo
d'Italia, 13 giugno 1937-XV.
Il 1936 è passato nella
storia ormai effimera del bolscevismo, come l'anno delle stragi dei
grandi capi politici della Rivoluzione rossa. In due ondate, furono
massacrati come cani idrofobi, quelli che erano stati i primi seguaci
di Lenin, i suoi collaboratori più intimi, gli artefici della
dottrina bolscevica, i campioni della III internazionale, gli uomini
nei quali milioni e milioni di proletari di ogni parte del mondo
avevano ciecamente creduto e giurato. L'accusa in base alla quale
essi ricevettero nella schiena una razione congrua di sonante e
liquidatrice mitraglia, era quella di tradimento! Dopo essere stati
gli apostoli banditori del nuovo vangelo che doveva redimere la
povera nonché sofferente umanità, essi lo avevano
tradito, questo vangelo, perché invece di Stalin, avevano
creduto di seguire un altro evangelista, il Trozki, unico superstite
della «vecchia guardia» di Lenin, superstite perché
scappato in tempo utile dal paradiso moscovita.
L'impressione suscitata dai primi
massacri nelle masse dell'occidente, anche se abbrutite dalla
propaganda bolscevica, fu immensa. Fu come se il tempio fosse
d'improvviso crollato sulle teste dei fedeli. Stalin giustificò
la strage. I fucilati erano dei trozkisti: dovevano quindi perire,
poiché in Russia, qualsiasi eresia, anche puramente teorica,
non ammette che una soluzione: la morte immediata dell'eretico. Oggi,
dopo i grandi capi del partito e della politica bolscevica, è
la volta dei grandi capi militari dell'esercito rosso, consegnati in
gruppi ai plotoni di esecuzione. Scoppiato il bubbone Jagoda, Stalin
è stato preso dal panico. Ossessionato dal trozkismo, dopo il
partito, ha iniziato l'epurazione dell'Armata rossa. Gli uomini che
sono stati condannati a morte ieri notte, dopo un sommario processo,
erano marescialli e comandanti supremi delle armate rosse, capi
attorno ai quali la propaganda bolscevica aveva creato un alone di
popolarità leggendaria. Erano i generali che a un certo
momento avrebbero dovuto guidare alla vittoria le armate rosse, per
il trionfo definitivo della terza internazionale. Erano i generali
venuti dalla e con la Rivoluzione. Non erano cioè ex ufficiali
delle armate zariste. Prima di assumere comandi e gradi nell'esercito
rosso, erano stati capi politici del bolscevismo, come il Feldmann
che aveva passato venti anni in esilio, come il Kork e l'Eidemann che
appartenevano ai bolscevichi del 1917 e venivano considerati come
immacolati eroi.
(segue...)
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