Il discorso di Genova «Chi si ferma è perduto»
(14 maggio 1938)
Dodici anni sono
trascorsi dall'ultima visita del Duce alla Dominante: dodici anni
durante i quali la città ha lavorato, si è ingrandita,
ha compiuto opere superbe, ed ora è fiera ed ansiosa di
poterle finalmente mostrare al Capo della nuova Italia imperiale.
Il 13 maggio, a
bordo della corazzata «Cavour», il Duce salpa da Gaeta:
il 14, accolto dalla passione entusiastica del popolo genovese,
sbarca a Genova. Un grande podio in forma di prora navale è
preparato per il discorso. Egli vi sale e dice:
Camerati Genovesi!
E' con grandissima gioia che
stamane, venendo dal mare, ho riveduto i lineamenti stupendi della
vostra città, che non mai come in questa epoca merita il
titolo di «Dominante». (Applausi).
Non meno profonda è la mia
gioia di riprendere, dopo trascorsi dodici anni (la moltitudine grida
«Troppi!» un immediato diretto contatto con voi.
Ed è con emozione che io
parlo a voi, innanzi all'Arco che voi avete dedicato alla Vittoria e
al ricordo degli Eroi che con il loro purissimo sangue la
conquistarono e l'hanno tramandata a noi e alle venture generazioni,
come un retaggio sacro e immortale. (Applausi vivissimi).
Non vi stupirete, o camerati, se,
come quasi sempre è avvenuto nelle memorabili adunate del
popolo fascista, io parlerò a voi di talune questioni di
carattere internazionale.
Alle ore 18 del giorno 11 marzo
l'Italia si trovò ancora una volta innanzi a un bivio, che
imponeva una decisione. Dalla scelta poteva dipendere il disordine,
la pace o la guerra, quindi il destino d'Europa. Ma, poiché
gli avvenimenti non venivano a noi di sorpresa ed erano stati
previsti nel loro logico sviluppo, noi rispondemmo immediatamente e
nettissimamente: No! dinanzi a un passo diplomatico che, nel caso
concreto, era assolutamente più inutile di molti altri.
(Calorosissimi applausi).
(segue...)
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