(segue) Il discorso di Genova. «Chi si ferma č perduto»
(14 maggio 1938)
[Inizio scritto]
I nemici dell'Italia, gli
antifascisti di tutte le risme rimasero tremendamente delusi e si
abbandonarono ad uno scoppio di autentico, per quanto imbelle furore.
Essi avrebbero evidentemente desiderato l'urto fra i due Stati
totalitari, e peggiori complicazioni, non esclusa la guerra, anche e
se, soprattutto, avesse spalancato le porte al trionfo del
bolscevismo in Europa. (Applausi).
Non dunque la necessità,
come fu detto, ma la nostra volontà ci guidò nel nostro
atteggiamento; e tutto quanto è accaduto da allora in poi,
dimostra che esso fu ispirato dalla saggezza. (Acclamazioni
altissime).
A coloro i quali, oltre i monti,
hanno ancora la non ingenua melanconia di ricordarci quanto facemmo
nel 1934, noi rispondiamo ancora una volta, dinanzi a voi e dinanzi a
tutto il popolo italiano in ascolto, che da allora al marzo del 1938
molt'acqua era passata sotto i ponti del Tevere, del Danubio, della
Sprea, del Tamigi e anche della Senna. (Grandi applausi). E, mentre
quest'acqua più o meno tumultuosamente fluiva, all'Italia,
impegnata in uno sforzo sanguinoso e gigantesco, venivano applicate
quelle sanzioni che noi non abbiamo ancora dimenticato. (Applausi
prolungati).
Nel frattempo tutto ciò che
di diplomatico e di politico passava sotto il nome globale di Stresa
era morto e sepolto e, per conto nostro, non risusciterà mai
più.
Né l'Italia poteva
permettersi il lusso veramente eccessivo di mobilitare allo scadere
regolare di ogni quadriennio, per impedire l'epilogo fatale di una
rivoluzione nazionale.
Queste sono le ragioni di ordine
contingente. Ma ve n'è una di carattere ancora più
alto, e che mi piace di proclamare qui nella città che ha
avuto il privilegio e ha il legittimo orgoglio di aver dato i natali
a Giuseppe Mazzini. (Applausi vivissimi). L'Italia fascista non
poteva assumersi indefinitamente quello che fu il compito odioso e
inutile della vecchia Austria degli Absburgo e dei Mettermeli:
contrastare il moto delle Nazioni verso la loro unità.
(segue...)
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