(segue) Il discorso di Genova. «Chi si ferma č perduto»
(14 maggio 1938)
[Inizio scritto]
Non è dunque per la tema di
complicazioni che noi abbiamo così agito, perché questa
tema, quando è necessario, non ha mai albergato, non alberga e
non albergherà mai nell'animo nostro. Ma era la nostra
coscienza, il senso dell'onore e l'amicizia alla Germania, che ci
consigliava di fare quanto abbiamo fatto. Ora i due mondi, il mondo
germanico e il mondo romano, sono in immediato contatto. La loro
amicizia è duratura. La collaborazione fra le due Rivoluzioni,
destinate a dare l'impronta a questo secolo, non può essere
che feconda.
Questo ha voluto significare il
popolo italiano accogliendo il Cancelliere germanico. (Alte
acclamazioni). Le parole che furono pronunziate nella notte del 7
maggio a Palazzo Venezia sono state accolte dall'entusiasmo
consapevole dei due popoli. Esse non rappresentano una dichiarazione
diplomatica o politica. Esse sono qualche cosa di solenne e di
definitivo nella storia. (Acclamazioni).
L'Asse, al quale resteremo fedeli,
non ci ha impedito di fare una politica di accordi con coloro i quali
tali accordi sinceramente vogliono.
Così, nel marzo dell'anno
scorso, abbiamo realizzato l'intesa con la Jugoslavia e da allora la
pace regna sovrana sulle sponde dell'Adriatico. (Applausi).
Così recentemente abbiamo
realizzato gli accordi con la Gran Bretagna. (Applausi). Al fondo del
dissidio che pose a severo repentaglio i rapporti fra le due Nazioni
c'era molta incomprensione, e diciamolo pure ignoranza, nel senso che
a questa parola si deve dare dal verbo «ignorare».
Per troppi stranieri l'Italia è
il Paese malamente dipinto da una mediocre letteratura coloristica. È
tempo, è gran tempo di conoscere l'Italia delle armi e del
lavoro; è tempo, è gran tempo di conoscere questo
popolo che in venti anni ha fornito prove formidabili, culminate
tutte nella volontà e nella conquista dell'Impero.
(segue...)
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