(segue) Il discorso di Genova. «Chi si ferma č perduto»
(14 maggio 1938)
[Inizio scritto]

      Le direttive della nostra politica sono chiare: noi vogliamo la pace, la pace con tutti. E vi posso dire che la Germania nazionalsocialista non desidera meno ardentemente di noi la pace europea. (Applausi). Ma la pace, per essere sicura, deve essere armata.
      Ecco perché io ho voluto che a Genova si raccogliesse tutta la flotta: per mostrare a voi e agli Italiani delle due regioni più continentali, che sono il Piemonte e la Lombardia, quale è la nostra effettiva forza sul mare.
      Noi vogliamo la pace, ma dobbiamo esser pronti con tutte le nostre forze a difenderla, specie quando si odono discorsi, sia pure d'oltre Oceano, sui quali dobbiamo riflettere.
      È forse da escludere che le cosiddette grandi democrazie si preparino veramente ad una guerra di dottrine. Comunque, è bene che si sappia che, in questo caso, gli Stati totalitari faranno immediatamente blocco e marceranno fino in fondo. (Acclamazioni altissime).
      Camerati Genovesi!
      L'Italia fascista vi segue e vi onora perché sa di poter contare sul vostro coraggio, sul vostro spirito di iniziativa, sul vostro non mai smentito patriottismo e sulla vostra tenacia veramente ligure, più dura delle rocce che voi avete frantumato per allargare il respiro della vostra città, più paziente delle lunghe navigazioni alla vela.
      La mia visita chiude un periodo della vostra storia e ne apre un altro. Durante questo periodo la vostra, la nostra Genova deve compiere e compirà un nuovo poderoso balzo verso il suo più grande futuro.


      Nel pomeriggio dello stesso giorno, il Duce inizia le visite. Nei cantieri navali di Sestri Ponente, dopo avere assistito alla posa della prima lamiera della nuova corazzata «Impero» al grido insistente degli operai «Duce, parla!», rivolge parole di saluto alla grande adunata e afferma che «l'Impero, voluto dal popolo e a lui affidato, sarà dal popolo difeso e potenziato».

(segue...)