(segue) Il viaggio nelle Venezie
(18-26 settembre 1938)
[Inizio scritto]
L'Italia era allora un popolo che
soffriva perché la pace non era stata adeguata ai suoi immensi
sacrifici, un popolo che non poteva più credere nei governi
che si succedevano troppo rapidamente e con figure sempre più
effimere. È in queste condizioni che il Fascismo impegnò
la sua battaglia. Eravamo decisi a tutto, anche a combattere se fosse
stato necessario, pur di vincere e di attuare il programma che io
enunciai nella vostra città.
Sono passati sedici anni. L'Italia
oggi è un popolo fieramente in piedi; l'Italia oggi è
uno Stato; l'Italia è un Impero. Il popolo, quello delle
officine e quello dei campi, non è estraneo alla vita dello
Stato, si sente protagonista della vita dello Stato: questo è
il significato profondo della Rivoluzione fascista. Se noi volessimo
stabilire il consuntivo di questi sedici anni troveremmo che il
bilancio è confortantissimo. Abbiamo sicure le nostre
frontiere, abbiamo riconquistato la Libia, abbiamo liquidato tutte le
vecchie pendenze diplomatiche di una pace zoppa, e siamo forti per
terra, per mare, per cielo come non fummo mai. Ma oltre alla potenza
delle armi, noi possediamo oggi la potenza dello spirito, cioè
la compattissima unità morale dell'intero popolo italiano.
Io vorrei che taluni melanconici
stranieri, eternamente sfasati di fronte alla realtà italiana,
assistessero a queste manifestazioni e udissero il vostro grido che
ha il rombo del ciclone e dell'uragano. Allora dovrebbero stracciare
le loro inutili carte, recitare un atto di contrizione, perché,
o camerati, una delle più gravi malattie di cui soffre il
mondo contemporaneo è lo spaccio della menzogna.
Soprattutto quando si tratta
dell'Italia, perché, evidentemente, a molti stranieri, piaceva
di più il popolo dell'altra epoca, perché per molti
stranieri — e questi stranieri noi abbiamo tutto il diritto di
disprezzarli — il popolo italiano doveva esistere semplicemente
per interessare e per divertire i popoli oltre frontiera.
(segue...)
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