(segue) Alla Vecchia Guardia
(26 marzo 1939)
[Inizio scritto]

      Può darsi che ci sia in giro qualcuno che ha dimenticato gli anni durissimi della vigilia (dalla folla si grida: «Nessuno !»), ma gli uomini delle squadre non li hanno dimenticati, non li possono dimenticare. (Dalla folla si grida: «Mai!»).
      Può darsi che qualcuno nel frattempo si sia posto a sedere, ma gli uomini delle squadre sono in piedi, pronti a imbracciare il moschetto, a saltare sul camion, come facevate nelle spedizioni di un tempo. (Si grida: «Sì, sì!»).
      L'uomo delle squadre dice a colui che si attarda dietro le persiane che la Rivoluzione non è finita, ma, dal punto di vista del costume, del carattere, delle distanze sociali, è appena incominciata.
      Io lascio ad altri il compito di stabilire un consuntivo della nostra fatica. In questo primo Ventennale del Fascismo, il consuntivo è gigantesco. Quello che abbiamo fatto è destinato a rimanere e rimarrà nei secoli. Né mi attardo a raffrontare quello che era l'Italia del 1919 delusa, inquieta, disordinata, infettata di bolscevismo come una Nazione non vittoriosa, ma vinta, e l'Italia del 1939 compatta, disciplinata, creatrice, guerriera, imperiale.
      Ma varrebbe forse la pena di ricordare quante volte lo spaccio demo-plutocratico della menzogna trionfante, quante volte ha annunciato ai greggi ormai dispersi delle sue pecore abbrutite la prossima, l'imminente, la certissima rovina dell'Italia fascista. Perché si era dissanguata in Africa e ancora di più in Ispagna ed aveva, quindi, urgente bisogno di un prestito, che naturalmente non poteva essere che britannico.
      Come è vero, come è veramente vero che questa Italia fascista è ancora sconosciuta, nell'epoca della radio, come la più lontana e remota regione della terra.

(segue...)