Capitolo IX - Congedo
Il mio libro è finito, Bruno, ed io prendo congedo da te. Ho scritto un libro, ancora un libro, ed ora che sono giunto all'ultima pagina, uno strano pudore mi consiglierebbe di lasciarlo inedito, di non farlo circolare fra la gente, di non sottoporlo agli estranei e forse questo potrebbe essere anche il tuo desiderio, schivo come eri della soverchia pubblicità. Ma questo libro non è un'apologia, non è una esaltazione: è un racconto, un semplice umano racconto e come tale lo affido specialmente ai giovani perché traggano ispirazione dalla tua vita esemplare.
Il nome dei Mussolini — di quelli che furono, di quelli che saranno — ha avuto dal tuo vivere e dal tuo morire il sigillo di una nobiltà imperitura. Nelle molte generazioni dei Mussolini, vi è ora un giovane capitano che veramente, fascisticamente sdegnava la «vita comoda», che di tutte le attività scelse la più rischiosa, che servì in pace e in guerra l'Italia e che nell'adempimento del suo dovere di soldato morì. Tutto quello che io ho fatto o farò è nulla a paragone di quanto tu hai fatto. Una sola goccia del sangue che sgorgò dalle tue tempie lacerate e scorse sulla tua faccia impallidita, vale di più di tutte le mie opere presenti passate future. Poiché solo il sacrificio del sangue è grande; tutto il resto è effimera materia. Solo il sangue è spirito, solo il sangue conta nella vita degli individui e in quella dei popoli: solo il sangue dà la porpora alla gloria.
Prendo congedo da te, Bruno. Quanto tempo dovrà trascorrere prima che io discenda nella cripta di San Cassiano per dormire accanto a te il sonno senza fine?
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