Oggi, alla luce del tradimento particolarmente obbrobrioso di Messe, ci si domanda se tutto ciò non fu calcolato e intenzionale, in vista di una cattività che Messe non poteva escludere dal novero delle possibilità. È altresì indubbio che Messe, attraverso la sua relazione, gode di una immediata buona stampa in Inghilterra, ed è altresì documentato dalle fotografie che, giunto in volo nei pressi di Londra, il Messe fu accolto da uno stuolo di generali non come un prigioniero e italiano per giunta, ma come un ospite di riguardo.
Poi si pose il problema della prigionia di Messe. Due tesi vennero prospettate: la prima riteneva che Messe dovesse ritornare in Patria e assumesse il comando delle truppe dislocate in Sicilia, considerata come una retrovia della Tunisia; l'altra, invece, affermava che, secondo la tradizione costante dell'Esercito italiano, il comandante dovesse seguire la sorte dei suoi soldati, così come aveva fatto il Duca d'Aosta. A questa tesi aderì Mussolini. Fu ritenuto che il generale Messe dovesse avere un riconoscimento anche per alleviargli il dolore della cattura, e fu promosso Maresciallo d'Italia. Il re non era molto favorevole a questa soluzione soltanto perché non desiderava che, dopo un principe, anche un Maresciallo figurasse nel bottino umano del nemico. Dato l'assoluto dominio marittimo e aereo del Canale di Sicilia, pochissimi soldati e ufficiali sfuggirono alla cattura. Qualche barca di coraggiosi navigatori, partita dalle spiagge di Capo Bon, riuscì a raggiungere le coste occidentali della Sicilia. Chiusa la pagina tunisina, si apriva il capitolo di Pantelleria: si delineava come imminente l'attacco ai primo lembo del territorio metropolitano, al primo territorio della frontiera della Patria.
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