Il re sta al centro della manovra, poiché aveva motivo di pensare che la vittoria strappata o conquistata dal Fascismo lo avrebbe ancora diminuito. Da vent'anni egli aspettava l'occasione propizia. Aspettava che si determinasse quello stato d'animo, quella emozione popolare e universale che a un certo momento deflagra con un semplice gesto. Con l'avvento di Scorza, il Partito aveva in progetto di riprendere in mano la situazione. Gli esordi furono buoni. La direttiva era quella di "evocare" la monarchia perché uscisse dall'ombra prudenziale e speculatrice nella quale si teneva e di guadagnarsi l'appoggio delle forze ecclesiastiche. Tutto questo legato a una selezione dei ranghi; ad alcune innovazioni di carattere sociale; rotazione di uomini nei Comandi politici e militari. Opera che avrebbe dovuto svolgersi durante un periodo di relativa tranquillità, mentre gli avvenimenti bellici la scavalcavano incessantemente.
Prima dell'attacco alla Sicilia, il Segretario del Partito aveva predisposto una serie di adunate regionali nelle quali avrebbero dovuto parlare le personalità più eminenti del Partito. È noto che Grandi rifiutò di parlare e resisté a qualsiasi sollecitazione al riguardo. Lo Scorza voleva punire questo "rifiuto di obbedienza", ma poi convenne che non valeva la pena — in quel momento — di sollevare il "caso" Grandi. La defezione del Grandi era sintomatica. Tuttavia, dopo il discorso pronunciato da Scorza alla radio la sera del 18 luglio, il Grandi gli mandò da Bologna un telegramma di esaltazione del discorso nel quale ritrovava "gli accenti e la passione dei grandi uomini del Risorgimento". Eguale entusiasmo aveva mostrato il Grandi dopo il discorso tenuto da Scorza all'Adriano il 5 maggio. Il Grandi, in regolamentare sahariana nera, era tra i gerarchi che accompagnarono lo Scorza a Palazzo Venezia, dal cui balcone Mussolini avrebbe parlato — e fu l'ultima volta! — al popolo di Roma.
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