Ripresa la seduta, parlarono Bignardi, il quale accennò allo stato d'animo delle masse rurali; Frattari sullo stesso argomento; Federzoni, che toccò il tasto della guerra "non sentita"; Bastianini, che riprese questo argomento criticando vivacemente la propaganda svolta durante la guerra dall'apposito Ministero, e, avendo deplorato che fossero state date istruzioni intese ad attenuare il ricordo della vittoria del Piave, si ebbe un battibecco col ministro Polverelli, l'unico momento nel quale le voci si alzarono più del normale.
Ripresero la parola Bottai, ancora più eccitato, e Cianetti. Quindi presero a parlare il Segretario Scorza, illustrando il suo ordine del giorno, non dissimile da quello Grandi. Lo Scorza difese il Partito dalle accuse di Grandi, attaccò gli stati maggiori, concluse affermando che il Partito, liberato dalle scorie, avrebbe rappresentato il perno del fronte unico nazionale. Dopo la lettura dell'ordine del giorno Scorza, il conte Ciano si alzò per dire che ogni accenno al Vaticano non sarebbe stato gradito oltre il portone di bronzo. Le quasi dieci ore di discussione si svolsero in una atmosfera tesissima, ma senza il minimo incidente di carattere personale.
Tutto ciò che fu detto al riguardo — di colluttazioni, minacce a mano armata — appartiene alle favole gialle. La discussione fu ordinata ed educata. Non trascese mai. Tutte le volte però che gli oratori tribolavano Mussolini, egli li interrompeva, pregando di non insistere!
Prima della votazione si potevano già individuare le posizioni dei singoli membri del Gran Consiglio: c'era un gruppo di traditori, che avevano già patteggiato con la monarchia; un gruppo di complici e un gruppo di ignari che non si resero probabilmente conto della gravità del voto. Ma tuttavia votarono!
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