Parlino i superstiti volontari se ne esistono — come è da augurarsi — ancora! I "volontari" furono vessati in ogni modo. — Sei volontario? — si diceva. — Dimostra dunque la tua "volontà"! — Nemmeno gli irredenti, che, entusiasti, erano venuti ad arruolarsi nelle file italiane, trovarono un ambiente che fosse in qualche modo fraterno. Uomini come Battisti e Sauro conobbero amarezze, che solo il loro sconfinato amore per l'Italia riusciva a placare.
Gruppi di volontari balzarono dalle trincee nell'ottobre del 1915, in un impeto d'eroismo, nel quale entrava anche un elemento di ripulsa e di esasperazione per l'ambiente ostile, refrattario, nel quale essi erano entrati. L'Esercito regio non ha mai avuto simpatia alcuna per i volontari. L'Esercito era considerato come il demanio della dinastia. Il suo compito era quello preminente di difendere le istituzioni e anche quello di fare la guerra, nel qual caso ciò non era considerato dalla maggior parte degli ufficiali come il coronamento desiderato e glorioso di una missione, ma come un molesto infortunio che, ognuno avrebbe voluto evitare.
Già nell'ottobre del 1915 il fiore del volontarismo italiano — da Corridoni a Deffenu — era stato falciato nelle trincee delle prime quote carsiche, oltre Isonzo. Probabilmente non vi erano più volontari nell'Esercito italiano, quando dopo il martirio di Battisti, in data 14 agosto 1916, il generale Cadorna si decise a diramare una circolare stampata di due pagine, nella quale veniva raccomandato che i "volontari" non fossero oggetto di derisione, ma fossero rispettati dagli ufficiali e dai soldati.
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