Sebbene centinaia di persone abbiano visto Mussolini, tale voce non è del tutto scomparsa. Bisogna spiegarsi la persistenza di questo fenomeno, che non è dovuto semplicemente alle notizie delle emittenti nemiche sulla salute sempre pericolante di Mussolini, sugli attentati in continuazione contro di lui, sulle fughe in Germania compiute o preannunciate. Bisogna spiegarsi altrimenti il fenomeno e riferirsi a certi dati della rudimentale psicologia di una parte del popolo italiano, più "talentosa" forse che "intelligente".
Mussolini è, da un certo punto di vista, un uomo "duro a morire". Egli è stato infatti molte volte ai margini della vita. All'ospedale di Ronchi, nel marzo del 1917, col corpo crivellato di schegge, doveva morire, o, nella migliore delle ipotesi, essere amputato della gamba destra. Non accadde niente di ciò. Dopo la guerra, al ritorno dal Congresso dei Fasci tenutosi a Firenze nel 1920, un formidabile cozzo, che frantumò le sbarre di un passaggio a livello nei pressi di Faenza, non provocò che un leggero stordimento, poiché la "blindatura" cranica di Mussolini aveva brillantemente "neutralizzato" il colpo. La caduta dell'aeroplano sul campo di Arcore fu una esperienza di estremo interesse. Mussolini constatò allora che la velocità della caduta dell'apparecchio era stata uguale alla velocità di ideazione del pensiero pensato in queste parole: si cade! Precipitare di piombo da un'altezza di 50 metri, sia pure con un robusto scassone quale il non dimenticabile "Aviati", non è uno scherzo. Il rombo dell'urto contro il suolo fu sonoro assai, né meno stridulo lo scricchiolio delle ali e della carlinga. Fu un accorrere da ogni parte del campo. L'istruttore pilota — quell'entusiasta e simpatico veterano del volo che è Cesare Redaelli — era leggermente ferito; quanto a Mussolini, si trattava di una semplice ammaccatura al ginocchio. Nella testa tipo panzer una leggera scalfittura fra naso e fronte. Abbastanza emozionante fu il volo da Ostia a Salerno, nel giorno del famoso, e per un certo tempo inedito, discorso di Eboli, nel giugno 1935. Era un tempo ciclonico. Poco prima dell'arrivo un fulmine scoppiò sull'aeroplano bruciando gli aggeggi della radio. Non capita — bisogna riconoscerlo — ad ogni comune mortale di essere folgorato a 3000 metri sul livella del mare, rimanendo incolume. Non parliamo dei molti duelli i quali, anche quando l'arma di combattimento era la spada triangolare, non uscivano dal tipo degli "scherzi innocenti". Forse meno innocenti, ma incredibilmente noiosi, gli attentati degli anni 1925-1926. Un paio di bombe e una serie di revolverate femminili e maschili, indigene e britanniche, oltre a qualche altro tentativo rimasto nell'ombra dell'incognito. Normale amministrazione. Passiamo ora dal regno, — come dire? — "traumatico" a quello costituzionale, ovverosia organico. Da venti anni oramai, e precisamente dal 15 febbraio 1925, Mussolini è "dotato" di una gentile ulcera duodenale, la cui storia minuziosa e dettagliata è — insieme con altre ben 70 mila storie di malati — negli archivi del prof. Frugoni. Vederla attraverso le lastre, effettuate la prima volta dall'esperto e integerrimo — ora scomparso — Aristide Busi, preside della Facoltà di medicina di Roma, fu motivo di una spiegabilissima e molto intima soddisfazione. Da quanto esposto si può evincere che Mussolini può essere considerato, almeno sin qui, un uomo "duro a morire".
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