Benito Mussolini
Storia di un anno. Il tempo del bastone e della carota


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     Tutta l'aristocrazia italiana, prima la bianca, poi, dopo la Conciliazione, anche la nera, costituiva un'altra forza monarchica. Definita la questione romana, la curia e il clero entrarono nell'orbita regia, cosicché nelle cerimonie religiose era di prescrizione la preghiera per il re.
     La grossa borghesia, — industriali, agrari, banchieri — pur non esponendosi in prima linea, marciava anch'essa sotto le insegne regie. La massoneria considerava il re come uno dei "fratelli onorari". Il giudaismo del pari. Precettore del principe era stato l'ebreo professore Polacco.
     Perché il sistema della "diarchia" a base di "parallele" funzionasse, occorreva che le parallele non cessassero di essere tali.
     Per tutto il 1923, l'anno dei "pieni poteri", non ci furono grandi novità, meno il grosso incidente di Corfù che fu — in sede ginevrina — composto con piena soddisfazione del Governo italiano.
     Anno di crisi seria fu, invece, il 1924. Il Regime dovette fronteggiare le conseguenze di un delitto che prescindendo da ogni altra considerazione era — per il modo e per il tempo — politicamente sbagliato.
     La pressione dell'Aventino sul re e sui circoli vicini nell'estate del 1924 fu assai forte. Si ebbero passi "formali" al Quirinale da parte delle opposizioni. Il re diede qualche assicurazione generica sul terreno propriamente penale, ma esitò a seguire gli aventiniani sul terreno delle responsabilità politiche.
     Anche il famoso memoriale di Cesare Rossi verso la fine di dicembre, pubblicato per iniziativa del Governo in anticipo sugli avversari, non fece una impressione eccessiva sul re. Oramai gli avversari del Fascismo si erano imbottigliati in una questione morale senza vie di uscita e anche, esiliandosi, avevano liberato il terreno sul quale al momento prescelto si sarebbe sferrato il contrattacco del Regime. Il che accadde col discorso del 3 gennaio 1925 e con le misure prese nelle 48 ore successive. Mentre il re aveva resistito con abbastanza decisione alle manovre aventiniane nella seconda metà del 1924 — anche quando più o meno direttamente era stato chiamato in gioco — non apparve invece molto soddisfatto dall'azione del 3 gennaio, attraverso la quale, con la soppressione di tutti i partiti, si gettavano le basi dello Stato totalitario.