Mussolini rimase alquanto sorpreso da questo scoppio di furore e volle dal punto di vista strettamente costituzionale chiedere il parere di un eminentissimo cultore di tale diritto: il prof. Santi Romano, presidente del Consiglio di Stato. Il quale mandò una memoria di poche pagine, in cui dimostrava con rigore logico che il Parlamento poteva fare ciò che aveva fatto e che insignendo il Duce di un grado militare non ancora esistente nella gerarchia, di tale grado doveva essere anche insignito il re, nella sua qualità di Capo supremo di detta gerarchia.. Quando Mussolini presentò al re la memoria di Santi Romano, Vittorio Emanuele ebbe un nuovo accesso di collera.
— I professori di diritto costituzionale, specialmente quando sono dei pusillanimi opportunisti, come il prof. Santi Romano, trovano sempre argomenti per giustificare le tesi più assurde: è il loro mestiere; ma io continuo ad essere della mia opinione. Del resto non ho nascosto questo mio stato d'animo ai due presidenti delle Camere, perché lo rendessero noto ai promotori di questo smacco alla Corona, che dovrà essere l'ultimo.
Da quel momento Vittorio Emanuele giurò a se stesso di trarre vendetta. Si trattava oramai di attendere l'epoca propizia.
Nella primavera-estate del 1943, il rapporto tra le forze della diarchia si era profondamente alterato. Il "complesso" fascista — Governo, Partito, sindacati, amministrazione — appariva sofferente dell'usura della guerra. Decine di migliaia di fascisti erano caduti sui campi di battaglia: fra di essi non meno di duemila gerarchi. Ecco un dato di fatto che parrebbe delittuoso dimenticare. Oltre un milione di fascisti erano sotto le armi, dispersi dal Varo a Rodi, da Aiaccio ad Atene. Nel Partito — in Italia — erano rimasti pochi elementi, i quali si erano applicati oramai a un compito quasi esclusivamente assistenziale. A ciò aggiungasi il corso sfortunato delle operazioni militari, con la perdita di tutte le colonie africane; i bombardamenti terroristici sulle città; i crescenti disagi alimentari.
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