In una lettera egli invocava dal Duce, «che tanto aveva fatto per l'Italia, un gesto che impedisse un urto con la Gran Bretagna» e Mussolini gli rispondeva che l'Italia non avrebbe preso l'iniziativa nel Mediterraneo, ma avrebbe resistito al ricatto e si sarebbe difesa, se attaccata.
La flotta inglese venne, passeggiò per il Mediterraneo, non sparò un colpo e la temuta crisi fu scongiurata. Badoglio non fece alcuna difficoltà, quando ebbe l'ordine di andare in Africa. Da Napoli, prima di partire, in data 18 novembre del 1935, così telegrafava al Duce: «Nel lasciare l'Italia per raggiungere l'Eritrea, desidero esprimere a V. E. i sentimenti della mia profonda gratitudine per avermi dato modo di servire ancora una volta agli ordini dell'E. V. la causa dell'Italia fascista nelle terre d'oltremare. L'opera felicemente iniziata sarà portata a compimento secondo la volontà del Duce e nello sforzo che unisce in un solo blocco di fede e di passione popolo, soldati e Camicie Nere».
Durante la campagna, nelle giornate appassionanti del maggio 1936, nelle successive manifestazioni, il Maresciallo Badoglio non solo non attenuò, ma ostentò il suo fascismo, anche se non tesserato. I fascisti gli resero onori dovunque. Lo consideravano uno dei loro. E intanto presentò i conti. Il primo fu la richiesta di un altro titolo nobiliare. Ciò accadde subito, appena tornato da Addis Abeba nel luglio del 1936. Il bravo Fedele, allora commissario della Consulta Araldica, mentre era favorevole al conferimento del titolo di Duca, era contrario al predicato di Addis Abeba e alla trasmissibilità del titolo che il Maresciallo non voleva soltanto per i figli maschi, ma anche per la figlia. Chiedeva inoltre per tutta la vita gli assegni di guerra e che le spese per la concessione del motu proprio fossero sostenute dalla Presidenza del Consiglio. Il re oppose qualche resistenza soprattutto per il predicato. Ma poi fini per accondiscendere. Mussolini si limitò a "seguire la pratica". Così sorse il Duca di Addis Abeba.
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