La vociferazione perfida a poco a poco finì. Il 13 novembre Arnaldo ritornava a Milano. Vi ebbe accoglienze bellissime. Ne fui lieto. Sperai che la ferita orribile si chiudesse. All'indomani 14 novembre Arnaldo mi mandò questo telegramma:
«Superata la emozione intensa del primo contatto con la casa deserta e la vita milanese, mi ricordo a te che per Sandrino avevi affetto paterno e sei in grado di giudicare la gravità della mia sventura e la commozione del mio ritorno. Ti abbraccio. Arnaldo».
Durante l'inverno 1930-1931 Arnaldo alternò il suo soggiorno tra Milano e Roma. Quivi aveva un piccolo ufficio a Palazzo Margherita. A Pasqua pubblicò in pochi esemplari il suo libro dedicato a Sandrino. Piansi nel leggerlo. La ferita era sempre aperta, sempre profonda. Arnaldo viveva oramai di Sandrino, con Sandrino, nell'attesa di andare da Lui. Il primo anniversario della Morte acutizzò ancora più intensamente quest'abbandono spirituale della vita. L'estate e l'autunno passarono. Il 14 dicembre Arnaldo giunse a Roma per partecipare alla riunione del Comitato della pesca e per l'Istituto di assistenza fra i giornalisti. Venne a Villa Torlonia quasi tutti i giorni. Mi diede l'impressione di un uomo affaticato, ma nello stesso tempo quella di un uomo che voleva reingranarsi nella vita. Venerdì 18 dicembre facemmo l'ultima passeggiata ad Ostia. Era una giornata fredda, ma solatia. Lo invitai a montare con me sulla moto. Sorrise. Alla sera pranzò da noi. Sabato mattina partì col rapido. Alla sera gli telefonai per domandargli notizie sulla conferenza del Ministro Giuliano alla Scuola di Mistica fascista. Domenica sera 20 dicembre, fra le 19 e le 20, gli telefonai ancora per avere notizie sulla giornata del nuovo Segretario del Partito a Milano. Mi rispose che tutto era andato bene anche e soprattutto la rivista malgrado la giornata rigidissima. La voce era un po' stanca. La Morte era nelle vicinanze, in attesa.
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