Tutte le sere, da nove anni, verso le 22 io chiamavo Arnaldo al telefono. La nostra conversazione si svolgeva nei termini seguenti:
— Che cosa c'è di nuovo?
— Che cosa fai per domattina?
— Mi piacerebbe che tu scrivessi un articolo sulla tale questione.
— Il tuo articolo di stamani mi è piaciuto moltissimo. Intonato, chiaro, efficace.
Arnaldo era fierissimo di questi elogi ed altrettanto si immalinconiva per i miei «rabbuffi» che quasi sempre si riferivano alle inevitabili piccole deficenze che io riscontravo talora nel complesso del giornale, che andavano da errori di stampa a doppioni di notizia.
Quando Arnaldo aveva dei dubbi e temeva cioè che il suo articolo potesse creare imbarazzi alla mia azione di governo, egli me lo mandava da vedere o nel manoscritto o nelle bozze. Alcuni di questi articoli inediti li ho trovati in questi giorni fra le sue carte. Talora egli stesso mi telefonava, per conoscere il mio pensiero su un suo articolo ed era felice quando riceveva il mio elogio. Così a poco a poco, giorno per giorno, sempre più affinandosi in quella grande scuola che è il giornalismo militante, Arnaldo diventò l'articolista del Regime, senza essere mai l'ufficioso del Governo. Articolista sempre più denso nella sostanza, sempre più alto nella forma. Egli era riuscito a compiere una specie di miracolo: conquistare il mio vecchio pubblico, che forse dopo il fuoco tambureggiante degli anni della vigilia aveva bisogno di una distensione di nervi e farsene uno nuovo, affezionato e sensibile. Il Popolo d'Italia ritornò così ad essere non solo un organo giornalistico, ma un centro di energie politiche, una bussola orientatrice dell'attività di tutta la Nazione. Arnaldo creò anche il grande giornale. Il Popolo d'Italia di Via Lovanio gli appartiene. Quando ce ne venimmo via dalla vecchia tipografia Codara e dai gloriosi stambugi del numero 35 di Via Paolo da Cannobio, il giornale come azienda non esisteva. Arnaldo l'ha creata con volontà e tenacia. Così, accanto a Gerarchia, Arnaldo diede vita a una serie di altre pubblicazioni che facevano corona a quella del quotidiano. Così sorse il giornale per i Balilla e la Domenica per gli agricoltori, la Rivista Illustrata e l'Illustrazione Fascista, l'Almanacco Fascista e il Bosco. Finalmente una pubblicazione che non avrà mai le somme tirature, ma che sarà sempre di grande utilità per gli studiosi: la rivista Historia completava l'insieme di queste pubblicazioni, che davano e danno lavoro e pane a un complesso di trecento famiglie. È su Historia che io ho letto l'emozionante testamento di Augusto, ancora scolpito in un tempio romano ad Angora.
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