Di tutte queste pubblicazioni, Arnaldo seguiva le varie vicende e nell'ultima lettera del dicembre scorso era fiero di annunciarmi che Historia avrebbe dedicato uno dei volumi della sua biblioteca all'«Arte romana sul Danubio». A voce mi aveva detto che per tale volume sarebbero state utilizzate ben duemila fotografie di vestigia romane scoperte in quelle regioni.
L'attività giornalistica di Arnaldo aveva chiarissimi orientamenti. Anzitutto seguire, commentare, illustrare tutta l'attività legislativa e politica del Governo, l'azione del Partito e di tutti gli organi dello Stato: volgarizzare questa grande opera, della quale molti fascisti stessi non sanno misurare la portata. Era questo, come egli stesso volle definirlo nel volume che raccolse gli articoli, il «Commento all'azione». Nello stesso tempo correggere le deviazioni, raddrizzare le storture, alimentare la fiamma degli entusiasmi. Qui Arnaldo, spesso, trovava la nota calda, lirica, appassionata: «Il Fascismo — egli scriveva, all'inizio del 1926 — ha affrontato tutte le battaglie, ha superato tutti i dissidentismi, ha provato l'amarezza di alcuni neri tradimenti, ma il movimento resta sempre giovane, intatto, fiero, orgoglioso del suo compito che rimane eterno, inesausto nella sua fede e nei suoi propositi». Per questo non c'è bisogno di tornare alle origini, il che vorrebbe dire «ripetere situazioni ambientali che noi dobbiamo considerare superate e per sempre». Ecco un periodo pieno di ardore dedicato al famoso rapporto dei Segretari federali che io tenni ai primi dell'aprile 1926, a bordo della «Cavour» che doveva portarmi in Libia.
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