Dopo avere rapidamente riletto gli articoli raccolti in quattro volumi e quelli che prossimamente saranno ripubblicati, io confermo quello che dissi: l'unica rivelazione giornalistica dal 1922 in poi è stata quella di Arnaldo Mussolini. «La tua» gli dissi un giorno, commovendolo profondamente. Sulla sua pietra tombale egli meriterebbe l'epigrafe di «giornalista della Rivoluzione».
E giornalista, coi requisiti del grande giornalista. La facilità nello scrivere anzitutto, poiché il giornale è legato alla sua effimera vita di un giorno e alle vicende che nel breve giro di 24 ore accadono nel mondo; la forma sempre più chiara, armoniosa, polita, che per moltissimi articoli può rientrare nella migliore tradizione della prosa italiana; e sempre, anche negli articoli dedicati per necessità di cose o di polemica ad argomenti mediocri, sempre onnipresente un assillo educativo, uno sforzo inteso a migliorare i lettori, e questo spiega il tono delle polemiche e l'assenza quasi totale di quei «personalismi» alieni dal suo spirito e che avrebbero abbassato il livello morale del più vecchio e grande giornale del Regime.
Arnaldo aveva sempre presente la sua responsabilità di direttore di un giornale fondato non da suo «fratello», ma dall'uomo al quale era fiero di obbedire come gregario. Doveva essere un giornale di idee e di educazione. V'è un fatto che documenta nella maniera più irrefutabile il successo di un giornalista: l'«attesa» del suo articolo. Ora, l'articolo di Arnaldo era «atteso». Dapprima, atteso, perché vi si voleva vedere la mia ispirazione, ma poi «atteso» per il valore intrinseco e della sostanza e della forma degli scritti di Arnaldo. Ma ecco che specie dopo la tragedia di Sandro, Arnaldo prende — com'egli stesso amava dire in altro campo — prende quota: il giornalista diventa uno scrittore. Privilegio concesso a pochi. Ci sono dei giornalisti che non saranno mai scrittori e degli scrittori che non potrebbero fare i giornalisti. In genere, l'attività giornalistica è troppo legata al «fatto» per permettere le elevazioni alla letteratura. Non v'è dubbio però che il giornalismo può ginnasticare il cervello, così come una palestra prepara gli atleti. Il giornalista diventa scrittore quando si «interiorizza», quando comincia a vedere le cose non più sotto l'aspetto cinematico della contingenza, ma in quello della trascendenza; quando piega il capo per riflettere sui problemi originari; quando, come nel caso di Arnaldo, portato da un atroce dolore sulla cima, si sente come liberato dagli impacci che lo legavano alla pianura e respira oramai nell'atmosfera delle cose infinite ed eterne. Il giornalismo del quotidiano finisce e comincia la poesia. Poesia dell'amore e della morte; della speranza e della rassegnazione; della vita terrena e del di là seducente e consolatore.
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