Benito Mussolini
Vita di Arnaldo


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     Ma ecco un'altra notazione non meno poetica, che io ho trovato fra le sue carte. Dev'essere anche questa del 1930 o 1931. È intitolata: «Nuvole», e dice:

     Ho visto stamane ridente
     la terra.
     Ho aspirato l'acre odore ferrigno
     delle zolle riarse
     imbevute
     della pioggia feconda!
     Le piante
     sembravano uscite
     da un lavacro
     di festa
     nella gloria del sole
     e tendevano
     i rami, le vette, gli steli
     verso il cielo
     a ringraziare e benedire
     stracci di nuvole
     fuggenti
     ad irrorare
     altre terre lontane!

     Così io vorrei un mattino
     svegliarmi d'improvviso
     sentirmi leggero
     perdute le scorie
     della materialità
     sentirmi vicino
     agli esseri cari
     librato lo spirito
     ai lidi immortali!
     Non credere al male
     gioire ascendendo!
     Abbracciare nell'impeto
     i fratelli che soffrono
     coloro che sperano,
     credere nella forza che domina
     nel pensiero che illumina
     il mondo.

     Tendo lo spirito in alto
     come gli steli e le piante
     verso i cieli!
     Ma i desideri dell'anima
     fuggono anch'essi
     come le nuvole
     verso lidi lontani.

     «Abbracciare i fratelli che soffrono e coloro che sperano»
, ecco il motivo dominante nei pensieri di Arnaldo, durante tutta la sua vita e specialmente nell'ultimo tempo.
     Tempo di tragedia. Di una tragedia che non può essere compresa a fondo se non da coloro che sono «continuati», che hanno dei figli. La morte di Sandro porta al meriggio pieno l'anima di Arnaldo. E quando, dopo un anno, scriverà di lui, in un libro destinato a pochi intimi, Arnaldo Mussolini toccherà, in quelle pagine, il limite supremo della bellezza e della grandezza. «Pianto dell'amore paterno», così può essere, così sarà chiamato il libro breve, ma che non si può leggere senza sentirsi partecipi di quel dolore. Credo che non molto vi sia nella letteratura italiana che abbia uguale potenza drammatica e così profonda cristiana rassegnata melanconia. Questo dialogo tra il padre — allora vivo — e il figliuolo morto non è soltanto straordinariamente patetico nella sostanza, ma è compiuto e perfetto nella forma. Sin dalle prime pagine, si leva il motivo della bontà: «Il babbo scrive a te.. Vedo, nell'ombra e nel silenzio, un tuo moto impercettibile di contrarietà. Io vinco la tua fierezza e voglio parlare della tua vita tanto breve e pur luminosa. Non mi sospinge la mia dolente vanità paterna, così crudelmente percossa, né il mio orgoglio colpito, distrutto e disperso, ma soltanto la coscienza di un più alto dovere. Sento che da tanto dolore può e deve nascere un grande bene; sento che quella che è la mia chiusa sofferenza paterna può divenire fonte di un vasto dono di bontà».