Luigi Barzini
Odissea. L'avventurosa fuga di un nostro aviatore dal campo nemico.


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     Il fuggiasco si scosse. La luce pareva gli scendesse nel cuore. Guardava in alto per riconoscere l'oriente. Sapeva che doveva scende il ponte verso sud-ovest. E, pieno di nuovo coraggio si rimise in cammino verso la Patria.
     Non era che al principio del suo viaggio.
     La selva secolare assalta declivi scoscesi, costoni ripidi, canaloni dirupati, aggiunge l'intreccio gigantesco delle sue vegetazioni alle difficoltà del terreno. Il fuggiasco ascendeva faticosamente nell'ombre delle grandi conifere, in un crepuscolo verde e freddo, scivolando sui tappeti di muschio e sopra molti e antichi ammassi di detriti vegetali. Di tanto in tanto un raggio di sole filtrava nel colonnato dei tronchi, ed egli ne studiava la direzione per indovinare l'ora e riconoscere l'oriente. Cercava intorno, marciando, delle fragole, dei mirtilli; aveva fatto assegnamento sulle bacche selvagge per nutrirsi. La stagione era troppo avanzata; il bosco non offriva niente alla fame umana.

Il Tricorno

     Dal terreno divenuto meno scosceso, dopo lunghe ore, nel pomeriggio egli si accorse di aver raggiunto le cime delle alture. Marciava fra le ondulazioni che preannunciano la discesa, e tentava di poter vedere lontano, avanti a se, per riconoscere la vetta del Tricorno. Nella ignoranza del paese si era tracciato un piano sommario di orientamento. Si sarebbe diretto sul Tricorno; dal Tricorno avrebbe visto l'Isonzo. Così credeva. Ma la foresta lo teneva chiuso. Per tutto l'alta barriera solenne degli alberi. Si dirigeva verso ogni chiarore di radura, e trovava l'orizzonte sempre nascosto da nuove moltitudini di piante; funebri ammassamenti tenebrosi di abeti e di pini giganti gli venivano incontro senza fine.