Non fu che verso le cinque di sera che, scendendo l'altro versante, al di sopra delle folte sommità della foresta egli vide le montagne: il Tricorno turrito, dalle spalle coperte da un candore di nevai, il Bihavac più a destra, e fra i due le spaccature di un valico, il passo di Luknia. La visione diafana delle alte creste rocciose rianimò il fuggitivo. Egli affrettava il passo per ritrovarla, da balza in balza.
Era tormentato dalla fame e dalla sete, una sete ardente. Si confortava pensando che scendeva verso l'acqua. Stava calando verso il fondo di una valletta. Era la valle del Kat. Fra i rami, di tanto in tanto, egli intravedeva in basso il letto ghiaioso e bianco di un torrentello. Vi giunse finalmente.
Il torrente era asciutto, non un filo di corrente, non una pozza di melma. Qualche praticello angusto costeggiava l'arido burrone che l'evaso seguì per qualche tempo, bordeggiando la boscaglia. Ad un certo punto, lontano, vide delle baite dal tetto spiovente, circondate da un variopinto tappeto di colture; piccoli rettangoli di ortaglie. Egli fu assalito dalla tentazione di mordere il ciuffo tenero e fresco di un cavolo. Ne sentiva con ossessione il sapore acre sulla lingua riarsa. Non ardì avvicinarsi a luoghi probabilmente abitati. Attraversò il ghiaione, si gettò nel bosco dell'altro versante.
Dalla valletta egli vedeva giganteggiare il Tricorno, avvolto di brume, ma non vedeva più il valico. Intuiva che per giungerci egli doveva passare nella valle vicina. Si mise a salire con ardore, il ripido declivio, aggrappandosi ai rami bassi, scivolando ad ogni istante sul seccume delle foglie aghiformi cadute dai pini e accumulate da epoche. Era preso da una urgenza folle. Gli sembrava di aver perduto tanto tempo, che bisognasse correre, e l'avvicinarsi della sera l'opprimeva come una minaccia oscura ed angosciante. Si inerpicava infaticabile, madido di sudore, sorpreso dalla sua forza, ansimante. Andava come un inseguito. Era quasi giunto alla sommità, quando gli parve che il cuore gli si schiantasse.
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