9. Lo studio dell’innovazione dopo Schumpeter.
Dalla lettura del presente capitolo emergono tre diversi approcci teorici al fenomeno innovativo, due dei quali appartengono allo stesso Schumpeter.
Per i neoclassici, l’innovazione, che coincide esclusivamente con la tecnologia, è un fatto esogeno nell’ambito di una visione statica della vita economica. Gli imprenditori si limitano a scegliere, sulla base dei prezzi relativi dei fattori e dei prodotti, la capacità produttiva ottimale all’interno di uno stato delle tecniche noto e generalizzato. Si verifica quindi un adattamento istantaneo e totale dell’intera struttura produttiva alle tecniche più avanzate. (approccio neoclassico)
Nei primi anni del novecento, Schumpeter coglie le peculiarità di dinamismo e discontinuità del fenomeno innovativo quali cause di effetti destabilizzanti sul sistema. L’innovazione, di cui offre una definizione più ampia rispetto a quella esclusivamente tecnologica-produttiva, consente agli imprenditori più capaci, per i quali si ipotizza un comportamento differenziato, di realizzare il profitto (approccio paleo-schumpteriano).
Negli anni quaranta, l’economista austriaco, alla luce delle osservazioni sull’evoluzione del capitalismo muta opinione. Con il successo della grande impresa in condizioni di controllo del mercato, l’iniziale sequenza “innovazione – profitto” è invertita. Infatti, ora, è la grande impresa che al proprio interno produce l’innovazione così come un normale bene economico ai fini della crescita dell’impresa stessa e delle proprie strategie. (approccio neo-schumpteriano).
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