A partire dalla fine degli anni Sessanta si sono sviluppati, parallelamente, due nuovi filoni di studio, quello cosiddetto neotecnologico e quello organizzativo-manageriale.
Con il primo (a cui fanno riferimento i successivi due capitoli) vi è il riconoscimento dell’autodeterminazione della tecnologia che si traduce in una sua non subordinazione all’economia e, anzi, in una sua capacità di provocare rilevanti modificazioni all’interno delle strutture economiche (macro e micro) in funzione delle nuove opportunità che essa offre.
Tale tipo di approccio non è, d’altra parte, assimilabile all’ipotesi neoclassica di esogenità della tecnologia. Esso, infatti, nega il concetto di indifferenza delle aziende nei confronti del cambiamento tecnologico, sottolineando le diverse modalità con le quali queste accedono e si appropriano delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie.
Il progresso tecnologico va considerato una variabile autonoma, dotato di proprie leggi di sviluppo. Ciò non significa, però, che economia e tecnologia siano totalmente indipendenti e che fra esse non possano manifestarsi forme di interazione.
Il filone organizzativo-manageriale si sviluppa a opera di studiosi interessati all’analisi del fenomeno innovativo all’interno della singola azienda piuttosto che nel complesso del sistema economico.
Con esso la problematicità dell’innovazione viene focalizzata nei suoi aspetti organizzativi anziché tecnici. In ogni azienda, così, lo sfruttamento efficace di una idea innovativa richiede un particolare orientamento di tutte le sue aree funzionali, oltre che un’opportuna valutazione del proprio contesto ambientale.
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