Storia della Repubblica di Genova di Carlo Varese
LIBRO SECONDO. 89
propria bandiera e le opportune istruzioni: quindi, 1147 per ultimo sperimento, recavansi in persona dal Re, pregandolo e scongiurandolo non permettesse sì manifesta ingiuria, non patisse che la gloria cristiana corresse così arduo cimento : venisse, movesse , guidasse egli stesso le radunate schiere che a lui si affidavano volenterose. » Pregarono indarno : perseverò nel rifiuto Alfonso, comandò a' suoi ed al Conte di Barcellona di starsi dall' armi, e degnò appena recarsi al campo per essere testimonio della vittoria o della sconfitta di quegli alleati, venuti per molto mare, a conquistargli un regno.
Tornavano sdegnati ma non disconfortati i consoli alle impazienti schiere ; ordinavano si desse nelle trombe, si procedesse in silenzio, con ordine , si combattesse, si vincesse. Pari al comando fu F eseguire : prima che il giorno avanzasse di tre ore , il vessillo genovese sventolava sulle torri d' Al-meria, e diecimila Saraceni erano periti su quelle mura che invano aveano tentato di difendere. Conquistata la città, fu posto l'assedio alla cittadella che non durò sulle difese più di quattro giorni, e s' arrese a discrezione. Qui nuovo sangue e con più colpevole mano fu sparso, posciachè le spade liguri inferocirono su nemici già prostrati e non combattenti che per salvare le vite. Altre diecimila vittime funestarono questa strepitosa vittoria. I superstiti si riscattarono per prezzo : ma immenso fu il bottino d' oro, di seriche stoffe e di preziose
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