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I primi bolognesi che scrissero versi italiani
Memorie storico-letterarie e saggi poetici
Salvatore Muzzi
Tipografia di Giulio Speirani e figli, 1863, pagine 51

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a cura di Federico Adamoli

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   colà dove pongono loro stanza gli spirili più gentili. E senza dùbbio ve n'aveano di molti in Bologna, dove allora teneva seggio il vero fiore d'ogni dottrina. Né la lingua poteva in migliore luogo gitlare ogni abito selvaggio; o, come disse l'Ariosto, traggersi fuor del volgare uso tetro: imperciocché tanti maestri e tanti discepoli convenendo in un solo luogo da tutte le parti d'Italia, tutti i nostri dialetti mescolavansi io un medesimo campo; e que' molti sapienti potevano più d'ogni altro sceverare il buono dal tristo, e dal buono raccogliere l'ottimo: i giovani parlare non secondo l'andazzo del volgo ma secondo il consiglio e l'esempio dei filosofi e de' prudenti: la materna lingua farsi più bella e a un tempo medesimo più comune; e venirne lode a Bologna, non già come a patria dei soli Bolognesi, ma come a sede d'ogni studio, anzi a nobilissimo domicilio dell'italiana sapienza.
   Considerando quésti fatti, sarà manifesta la ragione per la quale Lorenzo De-Medici, se non meglio Angelo Poliziano, all'uso de' migliori filosofi, seguendo il vero più che 1' affetto, spogliò la sua patria d'una grande pompa, e ne fece lieta Bologna, dicendo che il bolognese Guido Guinicelli certamente fu il primo da cui la bella forma del nostro idioma fu dolcemente coloì'ita; la quale appena da quel rozzo Guittone era stata adombrata. E quest'illustre scrittor toscano, il quale disse un Bolognese essere stato il primo a colorire la forma della favella, non era egli già né un Ghibellino né un esule né un traditore della bella Firenze, ma quegli che di lei sì altamente scrisse, che non dubitò affermare che la greca dottrina, morta fra' Greci rivisse fra i popoli di Toscana, ed ivi per tal guisa fiorì, che Atene non parve già occupata da barbari e fatta poi-vere, ma spontaneamente divelta dal loco suo, con tutte le sue dovizie, e fuggita e trapiantata lungarno, e quivi con novello e soavissimo nome appellata Firenze. Così il forbito Poliziano ve-
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