Luigi Barzini
Odissea. L'avventurosa fuga di un nostro aviatore dal campo nemico.


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     Si vide sorgere un ombra dietro alla siepe dei fili di ferro.
     La sentinella si mise nella posizione prescritta di difesa, la baionetta bassa, e intimò:
     - Su le mani!
     L'ombra levò le braccia, avvicinandosi nel varco del reticolato. Due soldati balzarono fuori ed afferrarono lo sconosciuto per i polsi. Un istante dopo egli era guidato per i camminamenti verso il comando della compagnia.
     II drappello giunse in silenzio al rifugio. E' proibito parla re ai prigionieri.
     L'ufficiale che si avanzava sulla soglia illuminata della baracchetta fece un gesto di sorpresa. Si trovava di fronte ad un aviatore italiano in uniforme. L'alato distintivo d'oro scintillava sulle braccia dell'individuo che la scorta armata fiancheggiava.
     Era un giovane quasi imberbe, magro, sofferente, il cui volto macilento, pallido, cadaverico quasi, si illuminava tutto in uno sguardo radioso di gioia. Le sue labbra smorte e aride tremavano sorridendo. I segni di una stanchezza mortale e l'espressione del trionfo erano insieme sul viso, incorniciato dal passamontagna degli aviatori italiani. Il suo vestito, lacero e sporco, lasciava scorgere la sommità del petto nudo, arrossato dal sole. I suoi piedi senza calze, martoriati, si affacciavano dalle scuciture delle scarpe rotte e scalcagnate.
     L'ufficiale gli tese le mani. "Entra, siedi ! - gli disse premurosamente - Sei stanco ! Hai fame ?..."
     L'aviatore rifiutò il cibo con un gesto. Aveva tanto sofferto la fame che non poteva mangiare. Bevve avidamente un bicchiere di caffè. Intorno a lui, nel silenzio, tutti gli sguardi lo interrogavano. Egli rispose: