Deborah Tolomeo
La 'Stampa Rossa' a Genova (1945-1953). Le Carte Adamoli


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4. LA SFIDA PER UNA CULTURA NUOVA.

4. 1 Istanze culturali ed associazionismo

     Come abbiamo indicato in precedenza, con la fine della guerra sono le testate locali ad ospitare il dibattito politico, a diventare "luoghi della discussione". Con lo sviluppo della società civile, a Genova cresce e si rafforza anche l'associazionismo, (1) ma poche sono le esperienze significative che riescono a sopravvivere. Oltre alle rigide divisioni che la città vive (potenziate da una scuola classista e un editoria d'élite) non esiste "un polo catalizzatore che raccolga le forze, le potenzi, offra occasioni". (2)
     A questo si somma il disinteresse dell'establishment culturale genovese e dell'iniziativa privata verso l'industria culturale nascente, "i facili mezzi di svago, quali il cinematografo, la televisione"; (3) così come del comune, che si limita a finanziare e gestire musei e teatri. (4)
     Ma quali sono le iniziative culturali a cui gli abitanti di Genova fanno riferimento tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta?
     Per quanto riguarda le associazioni private - soprattutto legate ad ambienti “di sinistra” - la difficoltà di trovare spazi in una città ricca di tensioni e fratture è accentuata dalle contingenze politiche e dall'abbandono della tradizione unitaria dei CLN.

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(1) Sul punto cfr. E.Baiardo, L'Identità nascosta. Genova nella cultura del secondo Novecento, Genova, Erga ed., 1999, pp. 53-94 e M. Novaro, C. Bertieri (a cura di), I protagonisti a Genova, De Ferrari ed., Genova, 2007, con le interessanti interviste agli attori di tale risveglio culturale, da Umberto Silva a Enrica Basevi (pp. 9-19), Michel David (pp. 44-63), Franco Croce Bermondi, Maria Grazia Pighetti Carbone (pp. 101-113); infine Cfr. anche: P. Lingua, I genovesi. Politica e cultura, cit., pp. 26-35, con un approfondimento sulle associazioni teatrali e le riviste.

(2) (E.Baiardo, L'Identità nascosta, cit., p. 53). Paolo Lingua scrive: "Il dopoguerra trovò (..) una città senza intellettuali di spicco, senza associazioni veramente indipendenti, con giornali tutto sommato modesti (…) La cultura ufficiale, delle associazioni, delle riviste, dei circoli e dei caffè era al livello, soprattutto qualitativo, di sottobosco: tra l’altro, se l’intellighenzia antifascista o comunque non fascista aveva subito l’isolamento e la diaspora, non era mai prosperata una cultura di regime". (P. Lingua, I genovesi. Politica e cultura, cit., p. 26). E ancora: "Non scuole di pensiero, di letteratura e d'arte e neppure centri di provocazione ideologica o estetica. Da parte politica (partitica o comunque amministrativa e persino burocratica) a Genova nessuno ha mai avuto a cuore il problema dell'organizzazione della cultura anche in forme minime. La Dc è sempre stata ostile.Da parte della sinistra, si partì nel dopoguerra con un atteggiamento assai rigido di sospetto o di sottomissione (...) La parte cosiddetta laica era poco forte e non esprimeva nè uomini nè valori (...) resta emblematica la mancata ricostruzione (perchè in sostanza non voluta da nessuno) del teatro dell'opera Carlo Felice, distrutto nel corso di un bombardamento". (Ibidem, p. 28).

(3) (Intervento di A.Capocaccia in "Genova", n.12, 1958, cit. in E.Baiardo L'Identità nascosta, cit., p.55). Mentre Milano si conferma definitivamente primo polo dell'editoria libraria e discografica, a Genova si parla di combattere "con tutte le forse la sleale concorrenza dei facili (facili perchè alla portata di tutti) mezzi meccanici di diffusione della parola, del suono e della immagine". (Ibidem) . A. Capocaccia (1901-1978), noto docente della Facoltà di Ingegneria di Genova, nonchè musicista e pilastro dell’establishment culturale genovese considera negativamente -così come del resto molta dell'elite culturale italiana del dopoguerra -la nascita della cosiddetta industria culturale . Spiega Giorgio Zanchini che in Italia l'esplosione della cultura di massa avviene negli anni Sessanta, in ritardo rispetto al resto del mondo occidentale e tra la diffidenza e la critica dell'intellighenzia di sinistra (Pasolini, Fortini), di destra (Montale), del mondo cattolico: "Sia la cultura cattolica sia quella comunista, poi, hanno faticato ad accettare le logiche dell'industrialismo, e ancor più lo sviluppo del sistema di trasmissione commerciale dei beni intellettuali quale avviene in un'economia di mercato" (Zanchini G., Il giornalismo culturale, cit., pp. 46-47). Non a caso in Italia ha un notevole successo la corrente filosofica della Scuola di Francoforte: sono Adorno, Marcuse, Horkheimer, studiosi fuggiti dalla Germania Hitleriana in America negli anni Trenta, a coniare l'espressione 'industria culturale', per descrivere la cultura di massa americana, in cui è forte la standardizzazione e serializzazione. Si pensi a fumetti, musica, letteratura popolare, magazines, radio commerciali, soap opera. In particolare indicano con industria culturale "il processo di riduzione della cultura a merce, a consumo, funzionale ai processi di sfruttamento capitalistici. E' un sistema integrato che disinnesca tutta la potenza critica dell'arte ed è funzionale ad una obbediente accettazione della gerarchia sociale". (Ibidem, pp. 36-37).Per un approfondimento sulla Scuola di Francoforte, Cfr. M.A. Falchi Pellegrini, Horkheimer: la critica del dominio politico, Firenze, Centro editoriale toscano, 2001).E nonostante il cerchi di sdoganare i prodotti della cultura popolare in un tentativo di ampliamento delle fruizione culturale, sfogliando le terze pagine de "L'Unità negli anni Cinquanta si percepisce chiaramente la condanna verso la neonata televisione, le manifestazioni musicali popolari come il Festival di Sanremo (Cfr., B.Bario, L'edizione genovese de "L'Unità", cit., p. 81) e "l'invadenza del cinema americano che riversa nel Paese scadenti prodotti commerciali" (Ibidem, p. 79).

(4) Su 14 musei censiti alla fine degli anni '40, solo sei sono agibili. Il programma per le Belle Arti è varato dal Comune nel 1949: viene deliberato il restauro dei musei, la ricostruzione del chiostro di Sant'Andrea e l'acquisto e restauro di opere e arazzi. Riallestiti, grazie al lavoro di Caterina Marcenaro e Franco Albini, Palazzo Bianco (la galleria è sistemata nel 1950, e il comune promuove nel giugno dello stesso anno una mostra del Magnasco in quella sede), Palazzo Rosso (nel 1953) e il museo del Tesoro di San Lorenzo, danneggiati dagli eventi bellici. Viene inoltre deliberata, nel 1948, la costruzione di una sede per la collezione Chiossone: iniziato nel 1951, il Museo di Arte Orientale sarà inaugurato nel 1971. (E. Baiardo, L'identità nascosta, cit., pp. 27 e 34).