La rivalutazione e il successivo ritorno della sterlina all'oro inasprirono e cristallizzarono il fenomeno, che la politica di stabilizzazione adottata in Francia, in Belgio e in Italia aggravò ancora più.
Infatti la rivalutazione della sterlina, non essendo accompagnata da una uguale deflazione dei costi e del credito, rialzò la linea dei costi. La linea della domanda rimase costante. Essa era determinata dalla quantità monetaria in circolazione, dal modo con cui questa era distribuita, dall'altezza cioè di tutti i redditi: dei salari, dei sussidi degli interessi del debito pubblico e dei debiti privati.
Questo complesso, costituiva più della metà del reddito nazionale calcolato nel 1928 a 4.060 milioni di Lst.
quindi: interessi e rendite + salari e stipendi costituivano il 66,2% del reddito nazionale.
Quindi sopratutto debito pubblico e salario influivano come costo di produzione e come elementi stimolanti la domanda.
In un mercato chiuso o fortemente protetto, un equilibrio interno, diverso dall'equilibrio esterno, può anche sussistere, in quanto le tariffe doganali impediscono l'invasione di prodotti stranieri, rialzandone il prezzo. Ma in un paese quasi a libero scambio, quale era l'Inghilterra, i due equilibri si dovevano necessariamente compensare. Come in fisica l'esperienza dei vasi comunicanti dimostra l'eguale pressione atmosferica, così l'esperienza inglese dimostrò che in economia, quando non vi siano misure artificiali che impediscano la libera comunicazione tra varie economie, si tende ad un equilibrio uniforme per il costante principio del minimo mezzo. Anche senza il crollo della sterlina questo equilibrio andava infatti formandosi ed era perciò che l'industria inglese soffriva ancor più delle industrie concorrenti.
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