Ambo i risultati sono mancati. La politica economica del Fronte Popolare non ha fatto rinascere la fiducia nel Paese; le riforme sociali e salariali hanno provocato un tale aumento dei prezzi da assorbire i margini del diminuito valore oro del franco.
Fin dal primo momento il Senato, temendo di far entrare l'economia francese in un circolo vizioso di aumenti alternati e dei prezzi e dei salari, costrinse il Governo a sfondare la nuova legge monetaria di una parte delle disposizioni demagogiche – imposte dai comunisti e dai sindacati - e con le quali ci si proponeva di restituire automaticamente alle categorie lavoratrici, a solo scapito dei datori di lavoro, il potere d'acquisto che esse avrebbero perduto in seguito alla svalutazione del franco.
Però affinché tali categorie non fossero totalmente frustrate dei vantaggi ottenuti colle leggi sociali, il Governo si propose di concentrare i propri sforzi sulla disciplina dei prezzi. Esso vi si impegnò formalmente con ripetute dichiarazioni pubbliche affidando questo compito al Comitato nazionale per il controllo dei prezzi. Questo Comitato però, dobbiamo subito osservare, non ha l'autorità né la capillarità degli organismi istituiti in Italia dal Partito Fascista nel suo compito di regolatore del costo della vita. I suoi poteri sono esercitati nelle varie provincie dai prefetti, vice-prefetti, sindaci e commissari di polizia, cioè da funzionari già assorbiti da altri compiti e il cui intervento si limita generalmente a una sporadica scarsamente efficace azione repressiva contro contravventori.
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