Le lettere raccontano... (epistolario di famiglia)

Annibale Di Febo




        7 agosto 1949

        Carissimo Umberto.

        Ho ricevuto la tua del 7 Giugno c. e mi fa piacere sentire innanzi tutto l'ottimo stato di buona salute tua e dei tuoi. Altrettanto posso dirti di me, di mia moglie e di più di quella piccola diavoletta di Lucietta (mia figlia di due anni e due mesi) che è la mia vita e la nostra apprensione. Riesco a scriverti a macchina perché la bimba dorme, spero che non si svegli, se no, addio tirare avanti. Ti ho spedito altri giornali, cioè "Il Progresso Italo-Americano" che è l'unico quotidiano in lingua italiana in questa nazione che si stampa a New York; ci sono poi dei settimanali che stanno languendo per mancanza di lettori; l'emigrazione è quasi finita, ci sono i vecchi, e non tutti, che leggono, pochi quelli che vengono dall'Italia, e quelli nati in America, fatte delle eccezioni, non coltivano la lingua dei padri.
        Io ti mando di quando in quando questi giornali con la speranza che ti facciano piacere così potrai notare che in America ci sono ancora degli Italiani che o per amore della nostra disgraziata Terra o per politica locale s'interessano delle cose italiane difendendo la giusta causa italiana specialmente dalla ben nota Perfida Albione e da quelli che hanno fatto strage dei nostri valorosi che non son tornati più alle loro case. Di questi americani, che dirti caro Umberto? Tu comprendi la reale situazione d'oggi; l'Italia è incastrata in una situazione buffa e dolorosa che il tutto ci induce a sperare che la nostra tragedia nazionale venga ben compresa da questa Nazione che per un motivo o per un altro ci aiuterà come difatti ha fatto, sia pure per tornaconto reciproco; il fatto però più importante è però che qui ci sono moltissimi americani che ci difendono e sono per la giusta causa italiana; io ne conosco tanti.
        Il Governo d'Italia fa bene a tenere in piena efficienza le sue forze d'ordine, è necessario che almeno questo facciano, non sapendo o non potendo fare di più. Quando viene da pensare che molti Italiani di ieri sono quelli di oggi che comandano, o quasi, ed i migliori di ieri in disparte chiusi nel loro dolore, mi domando e dico io: QUANDO POTREMO CANTARE DI VERO CUORE I VERSI DI GOFFREDO MAMELI? Penso in tutti i modi che in questa Nazione c'è molto da fare per il nostro bene. Che se poi l'Italia deve fare la fine dei satelliti della Russia, dici bene tu, è a buon senso degli italiani sono riposti il destino e l'avvenire della nostra Patria. Sarebbe il principio della fine di tutte le tradizioni della millenaria civiltà nostra, per dare luogo ad un regime capestro che dopo trentadue anni di esperimento in casa propria non è riuscito a dare al suo popolo il minimo di benessere economico se non a pochi che con satanica tirannia tiene in mano le redini del governo peggiore di quello zarista.
        Io spero da buon italiano di rivedere l'Italia col suo prestigio che si addice ad una nazione libera da ogni influenza straniera; spero che i ricchi sappiano comprendere una volta per sempre le esigenze di una vita decorosa per le classi che producono e soffrono. Quando un popolo sta bene e tranquillo si vedranno certamente bandire dalla circolazione tutti coloro che, pagati dallo straniero, cercano di sfruttare la miseria con l'agitazione per i loro loschi fini. Temo solo, caro Umberto, i vigliacchi di tutti i tempi che con la loro rettorica sembrano i salvatori delle umane cose, ma che al primo soffio delle difficoltà divengono i pusillanimi nella rovina generale; io soffrirei di meno se non fossi un impiegato, ma come tale penso solo a fare il mio dovere ed a risolvere i fatti della mia famigliola.

        Riprendo la lettera, in un secondo tempo, perché Luciettina svegliatasi non mi ha fatto finire come volevo. Devi perdonare questo mio procedere nello scrivere. Ormai per me lo scrivere è un problema e la numerosa corrispondenza da evadere lì tutta ammucchiata, mi fa anche impensierire dato l'enorme ritardo nel rispondere ad amici e parenti d'Italia e di America; cosa penseranno loro di me!
        Con quell'Adamoli Carlo, di cui in Italia ti parlavo, mi scrive spesso da Filadelfia pregandomi di salutarti sempre. In questi giorni qui a New York fa un caldo soffocante e sempre con umidità; i vecchi non ricordano questa temperatura che dal 1896, è una sofferenza generale e fino ad ora sono morte ben 296 persone per il caldo.
        Perdonami se adesso smetto di scrivere. Tanti saluti ai tuoi tutti.
        A te un abbraccio aff.mo Annibale

[ Annibale Di Febo ]




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