Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Dramma in quattro atti)


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     TITTA - Oggi invece applaudono le truppe spagnuole, quando muovono contro di noi.

     MONTECCHI - Ma io sono sicuro che quando se ne offrirà l'occasione, e non dovrà di molto tardare, i pretuziani ripeteranno quelle gesta che confermeranno il loro glorioso passato.

     (Mentre i capi discorrono i giovani, a mano a mano, escono. Dal di fuori fanno poi giungere, con il suono dell'organetto, il loro canto in coro. I capi rimangono, raccolti, ad ascoltare. Dopo.)

     MONTECCHI - Beata giovinezza! Per i giovani la vita è sempre bella. Se si potesse rimanere sempre a venti anni.

     TITTA - Poiché ciò, per leggi inesorabili, non è possibile, è necessario che l'uomo si adatti alle condizioni che impose l'età.

     MONTECCHI - Anche in relazione alla famiglia, già da voi costituita.


     TITTA - Appunto, come vanno i tuoi amori...

     MONTECCHI - Come vuoi che vadano! La fortuna non mi aiuta, né io, in tale faccenda, so aiutare la fortuna.

     SANTUCCIO - E lei... la sirena, insomma, che dice?

     MONTECCHI - Vive nell'inganno.

     TITTA - Nell'inganno?

     MONTECCHI - Ignora chi io sia, non solo, ma ha dei banditi un sacro terrore.

     TITTA - E che sa di te?

     MONTECCHI - Che sono stato in seminario e che sono l'erede dei beni del defunto capo Geronimo di Sant'Omero.

     SANTUCCIO - Condizione certo ambigua...

     MONTECCHI - Che conduce a fatti drammatici.

     TITTA - Drammatici?

     MONTECCHI - In una non lontana notte, nella villa di Mosciano, ella era alla finestra, io sotto, in amoroso colloquio.

     SANTUCCIO - Roba da ragazzi...

     MONTECCHI - E che i banditi, e banditi come noi, non possono sciogliere, in tenerezza, i loro sentimenti amorosi?


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Umberto