Umberto Adamoli
I BANDITI DEL MARTESE
(Dramma in quattro atti)


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     TITTA - E noi vi verremo, per festeggiarvi, con le nostre bande armate.

     MONTECCHI - Certo, mi debbo decidere. Ma se ella, che tanta ripulsione ha per noi, non accettasse?

     SANTUCCIO - La forza, come fu per Titta. Ma l'amore è un'esca potentissima e quando la donna vi cade dentro non ne esce più. Se il cuore della tua Cinzia è in pania puoi andare oltre senza timore di rifiuto.

     MONTECCHI - E i parenti?

     SANTUCCIO - Finiranno, nelle tante considerazioni, col cedere. A me sembra che non disdegnano a imparentarsi con i padroni di quella montagna, che costituisce un vero proprio nostro dominio.

     TITTA - Regno senza corona.

     SANTUCCIO - Regno di fatto, sostenuto dal diritto del più forte. E Venezia, nel chiedere le nostre bande, in tempo di pericolo ha con saggezza riconosciuto questo nostro diritto.

     E le nostre bande, per il loro valore, nel combattere i suoi nemici, vi si coprirono di gloria. Come si è coperta di gloria la banda di mio fratello Giovanni, nel combattere in Dalmazia contro i turchi.

     TITTA - Appunto, che ne è di Giovanni, che tanto si era infiammato della piccola Cherubini di Civitella?

     SANTUCCIO - Tra poco sarà qui, in segreta missione.

     MONTECCHI - Come, è tornato?

     SANTUCCIO - Soltanto lui, per costituire, per Venezia, una nuova banda, essendo stata la sua, nei combattimenti in Dalmazia contro i turchi, duramente decimata.

     TITTA - Allora da lui molte cose sapremo di quella terra, in cui, tra tanto sfacelo, si ha il coraggio di tenere accesa la fiamma della santa italianità.
     Io amo Venezia.


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Umberto