Dall'avvocato Venanzio Castelli sono stato accusato, tra l'altro,
di avere collaborato con le autorità fasciste, e con i tedeschi,
durante la loro permanenza a Teramo. I fatti smentiscono da sé
tali falsi accuse, determinate da bassi propositi di vendetta.
I fatti. Al medesimo Castelli erano stati fatti demolire, nel
passato, molti fabbricati, cadenti per l'abbandono in cui erano
lasciati, costituenti, quindi, un pubblico pericolo. Altri
fabbricati, pure in cattive condizioni, erano tenuti chiusi. Lo
scrivente, nella sua qualità di Podestà, fallite le trattative
in via bonaria, disponeva, per qualcuno di essi, su
autorizzazione della Prefettura, la requisizione, per potervi
collocare gli Sfollati che vivevano ancora numerosi, nel fretto
dell'inverno, nei corridoi, negli atri, nelle stalle, nelle
strade.
A questo atto di doverosa umana solidarietà, fortemente sentita
dal popolo, che divideva con gli Sfollati il proprio pane e i
propri tuguri, il ricco Castelli opponeva ancora le sue
obiezioni, il suo rifiuto. Né cedeva quando lo scrivente, con
spirito eccessivamente conciliativo, riduceva la sua richiesta a
due appartamenti soltanto, assumendosi, per renderli abitabili,
la spesa per le necessarie riparazioni. Dinanzi alla sua nuova
opposizione, non giustificata, si agiva d'autorità.
Per conseguire il suo intento, attribuiva, inoltre, al Podestà
fatti ed atti che egli non ebbe neppure a pensare; quegli atti
che si riferivano ad una perquisizione operata nella sua casa dai
tedeschi prima, dalla Milizia poi. Perquisizione che conduceva,
tra l'altro, al rinvenimento di una ingente quantità di grano,
dai tarli e dai topi deteriorato, anzi trasformato in crusca,
neppure questa non più usabile. Vi si rinveniva altra roba
guasta.
Tali fatti determinavano il suo arresto. D'accordo con il suo
avvocato, comm. Moruzzi, ebbi a perorare la sua causa presso il
Prefetto, ottenendone la scarcerazione. Mi rimproverava questo
intervento. Quando gli parve che si fosse presentata favorevole
l'occasione, raccoglieva faticosamente firme compiacenti, poche
in verità, mi denunciava per fatti che esistevano soltanto nella
sua mente malata.
Possono ancora e meglio qualificare questo bisbetico uomo le sue
stesse azioni, degne tutte di studio e di particolari
provvedimenti. Lo stesso fratello, che dopo lunghi anni di liti
giudiziarie non riesce ancora oggi ad entrare in possesso
dell'eredità paterna, è una sua povera vittima. Vittime di
questo uomo, caparbiamente litigioso, sono tutti coloro che con
lui si vengono a trovare in rapporti d'affare. Prima i suoi
contadini, i quali dovevano provocare sempre un litigio prima di
entrare in possesso della loro parte di prodotti. Prodotti che
erano raccolti dai campi, almeno sino alla legge su gli ammassi,
con uno due ed anche tre mesi di ritardo, determinandone una
prima sensibile perdita. L'altra perdita avveniva nei suoi
fondaci, ove i prodotti venivano lasciati a marcire, sino alla
loro distruzione, come il grano testé rinvenuto dagli organi di
polizia.
Oggi egli, atteggiandosi a tribuno, si vuol presentare con la
veste di patriota. Non ebbe ritegno, né pudore, il giorno della
liberazione, dal discendere, con la coccarda rossa all'occhiello,
tra il popolo, da lui pel passato maltrattato, affamato.
Quando però i veri patrioti erano nelle sofferenze e nei
pericoli della montagna; quando lo scrivente restava al suo
faticoso posto di responsabilità, offrendo a tutela della vita
della sua città e dei suoi cittadini la sua vita, quest'uomo,
che nessun servizio aveva mai reso né alla società, né alla
patria, si rintanava nella sua casa, per continuare a preparare
nell'ozio il veleno del male.
Ora venendo alla mia quistione personale, se sono rimasto al mio
posto di Podestà di Teramo anche dopo l'armistizio è stato per
un profondo sentimento del dovere. Nel grave momento che la città
attraversava, nessuno avrebbe preso il mio posto. Abbandonarlo,
in quell'ora e quando tutti fuggivano, sarebbe stata una
defezione, se non una vigliaccheria, indegna di un soldato, quale
io ero.
Dall'altra parte il riconoscimento della mia personale
situazione, l'ebbi dallo stesso Maresciallo Badoglio, che mi
mantenne in carica anche dopo la soppressione del P.N.F.. E'
indubbio che se mi fossi reso soltanto sospetto di aver fatto,
oltre che l'amministrazione, anche della politica, sarei stato
rimosso dall'importante carica che rivestivo.
Così va interpretata anche la mia adesione al Fascio
Repubblicano, data sempre il bene della città. Solo adesione. Se
ancora esistono gli atti della Federazione fascista, risulterà
che io non curai di ritirare successivamente la tessera (federati
che si dovevano d'altra parte, ritenere sciolti da ogni vincolo e
da ogni impegno, dopo l'aspra requisitoria del commissario prof.
Morriconi, contro l'inganno teso, con il suo programma, dal nuovo
Partito repubblicano). Nego poi - come il Castelli vorrebbe far
credere - di aver collaborato con i tedeschi. Per evitare
peggiori e più tragici eventi alla mia città ne ho potuto
subire imposizioni e prepotenze; ma contro la parvenza di
collaborazione, stanno fatti concreti a dimostrare la mia
nascosta ribellione, sempre ed intimamente dominati dall'amore
del mio paese.
Le enumero sommariamente:
a) Appena dopo l'armistizio, giungevano a Teramo, con feroci
propositi di vendetta, truppe tedesche. Tre ufficiali,
presentatisi nel mio ufficio, m'imponevano di invitare a
sciogliersi le bande della montagna entro settanta ore. Scaduto
tale termine, inutilmente, la città sarebbe stata bombardata.
Inoltre avrei dovuto presentare la lista di cento cittadini,
delle migliori famiglie, da fucilare, per vendicare la morte di
un loro ufficiale medico, ucciso dai ribelli del Bosco Martese.
Avrei dovuto, ancora, pubblicare un manifesto per avvertire la
città che per ogni soldato tedesco ucciso nel territorio del
comune, dovevano rispondere con la vita, cento cittadini.
Rifiutai di aderirvi. Alla loro minacciosa insistenza, offrii
risolutamente all'ira del piombo nemico, il mio petto, la mia
vita.
Con tale generosa offerta, che fortemente colpiva i tedeschi,
salvavo la città ed i suoi cittadini.
b) Il tre gennaio, alle ore nove, ebbi visita dallo stesso
Comandante della Piazza, invitandomi a dare, per le ore undici
almeno cinquecento operai per lo sgombero della neve caduta
abbondantemente con impedimento di ogni traffico. Le richieste
precedenti, anche con bando, erano rimaste senza risultati. Se
per l'ora fissata i cinquecento uomini non si fossero presentati
la città sarebbe stata messa a fuoco.
Ancora una volta, aiutato dalla saggezza dei cittadini, che mi
seguivano, riuscii a salvare, dalla feroce e perentoria minaccia,
la mia città.
c) Nel processo contro l'avvocato Nanni Nicola, Podestà di
Caramanico, chiamato a rispondere per ospitalità ad ufficiali
Inglesi e per averli accompagnati in una ricognizione, intervenni
dinanzi al Tribunale tedesco, spiegai la condotta del Nanni con
lo spirito di gentilezza e di ospitalità della nostra gente
abruzzese, ed ottenni che la richiesta della pena di morte si
attenuasse in quella di pochi anni di carcere, già graziati.
d) Io sapevo, come tutti, che nel territorio della provincia si
aggiravano elementi inglesi ed americani, protetti ed assistiti
dalla popolazione. Ebbene, non ho mai fatto, né permesso che si
facesse opera di investigazione e di delazione a loro carico.
e) Ho reso meno dura la vita agli internati politici, affidati,
per l'amministrazione, alle cure del comune. I generi alimentari
messi a mia disposizione per essi erano scarsissimi. Di
conseguenza, per poter far giungere ai medesimi cibo sano ed
abbondante, con mi rischio personale, dovevo alterare
notevolmente le cifre, che ad essi si riferivano.
Più volte mi recai a trovarli e persino il giorno di Pasqua,
quantunque malato, li visitai per portare loro la mia parola di
fede e di conforto. Ed anche molto mi adoperai per la loro
liberazione, in parte ottenuta.
f) Gratitudine e vivo ricordo di me dovranno serbare i molti
ebrei, capitati per caso nel comune e che si ebbero ad affidare,
non so per quale istinto, alla mia protezione. Non errarono. Li
ebbi a sottrarre a tutte le ricerche da parte dei tedeschi e
delle altre autorità di polizia. Ebbi sempre a negare, quando mi
si faceva richiesta, la loro presenza nel territorio del mio
comune. Li confortai, in ogni momento, con la mia parola, con il
mio consiglio, dove era possibile, con una adeguata assistenza.
g) Fui del pari soccorrevole con le famiglie dei patrioti
rifugiatisi in montagna, che a me si rivolgevano per la
necessaria assistenza.
h) Non mancai di visitare, quale Podestà, gli ammalati e feriti
Anglo-Americani, ricoverati nel nostro Ospedale. I loro morti
furono seppelliti, con lo stesso pietoso culto dei nostri
militari, nel cimitero di guerra, circondando di fiori le loro
tombe.
i) Per disposizione tedesca, tutti gli sfollati che giungevano a
Teramo dovevano proseguire per l'Alta Italia. Ma molti di questi
nostri fratelli, sottratti al teutonico controllo, con il mio
assenso, si ebbero a rifugiare nel territorio del comune, ove
ricevevano, per vivere, la più larga assistenza in danaro, in
generi, in indumenti.
l) Richiesi ed ottenni dal Comando Superiore tedesco
un'ordinanza, da collocarsi, come fu collocata, alle porte della
città, con la quale si regolava, si disciplinava la condotta
delle truppe di stanza o di passaggio per Teramo. Ordinanza che
molto giovava alla tranquillità, alla incolumità dei miei
concittadini.
m) Erano stati arrestati, per ragioni politiche e per
collaborazione ai patrioti della montagna, venti cittadini dei
partiti antifascisti. Io intervenni, come sempre, in loro favore,
ottenendone la scarcerazione.
n) Da Fascisti erano stati sostituiti, con apposite targhe, le
denominazioni di Corso Umberto, Piazza Vittorio Emanuele e Piazza
Dante, con altre denominazioni da essi scelte. Rifiutai di
legalizzare, tali sostituzioni, con la necessaria deliberazione
podestarile. Di conseguenza esse rimanevano giuridicamente prive
di valore.
I fatti più importanti, sommariamente esposti, possono essere
confermati da tutta la cittadinanza, e basterà anche una rapida
inchiesta per aversene, contrariamente alle false affermazioni
dell'avv. Castelli, la più ampia e sicura dimostrazione.
Teramo
(T. Col. Umberto Adamoli)
Appendice
Si è ritenuto utile pubblicare, a sostegno di alcune
affermazioni contenute nello scritto che precede, qualche
documento, primo tra essi una lettera a me diretta dalle buone
Suore Domenicane, qui di passaggio nella loro dolorosa
peregrinazione, conducendo con sé, amorevolmente, orfanelle
affidate alle loro cure, alla loro assistenza, al loro affetto.
Anime buone, che hanno espresso, in forma religiosamente gentile,
la loro gratitudine, i loro ringraziamenti, i loro auguri.
Ad esse si fa seguire altra lettera, non molto dissimile nello
spirito, nei fiori dell'umana riconoscenza; ma scritta da persone
di altra razza, viventi in altre bibliche credenze, in altri
costumi, in altre passioni: scritte dai discendenti di Israele.
Entro questi due limiti si trovano quelle altre lettere, che non
si ritiene di trascrivere, di gente di ogni condizione, colme di
quelle espressioni, che sgorgano, come fresca polla, dal profondo
dell'umana bontà.
Signor Podestà
Le Suore Domenicane Insegnanti e Infermiere di S. Caterina da
Siena, unite nell'Orfanelle di Pescara, ringraziano di cuore per
la bontà paterna avuta a loro riguardo nella breve ed
indimenticabile sosta fatta a Teramo.
Ricambieremo tale carità usataci, con la preghiera, che insieme
alle Orfanelle innalzeremo al Signore per la felicità Vostra e
della Vostra famiglia e dell'intera città di Teramo. Che il
Signore voglia risparmiare la tanto ospitale città, che fa
dimenticare agli sfollati le loro sofferenze.
Forse non incontreremo più tanta bontà come a Teramo. Siamo
state alloggiate (Ascoli) in un convento di clausura perché la
villa Merli è stata presa dai Tedeschi.
Vogliate estendere i nostri ringraziamenti a tutti gli impiegati
dell'Eca, che furono con noi solleciti e gentili.
Inviamo i nostri ringraziamenti e vi ossequiamo.
Sr. M. Rosaria Bontempo
Al T. Colonnello Adamoli Umberto già Podestà di Teramo
Noi sottoscritti desideriamo, con questa dichiarazione spontanea,
esprimervi anche per iscritto la nostra profonda gratitudine per
aver salvato noi le nostre famiglie e tanti altri correligionari
che hanno lasciato nel frattempo Teramo, dalla ferocità tedesca.
Difatti ai primi di dicembre scorso, le autorità tedesche
avevano comandato I' arresto in massa di tutti gli Israeliti.
Voi, Podestà di Teramo, eludendo la vigilanza teutonica e
fascista, ci avete avvisati tempestivamente del pericolo che
incombeva sulle nostre teste raccomandandoci paternamente di
allontanarci da Teramo o di rifugiarci presso quelle famiglie,
fortunatamente numerose, non contaminate dal virus della peste
nazista e ci assicuravate ogni qualsiasi aiuto.
E' pure a nostra conoscenza che durante il terrorismo teutonico
vi siete reso benemerito della popolazione teramana e sappiamo
anche che di concerto col Comandante del Campo di Concentramento
istituito dalle belve tedesche per sfogare il veleno che hanno
sempre in corpo, somministravate tra I' altro agli internati,
ricorrendo ad un abile stratagemma, doppia razione di cibo.
Così alla nostra benedizione si aggiungano quelle della
popolazione e degli internati.
Con riconoscente devozione, li 14 luglio 1944".
(seguono numerose firme).
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