Umberto Adamoli

Memoria 'Castelli'

Dall'avvocato Venanzio Castelli sono stato accusato, tra l'altro, di avere collaborato con le autorità fasciste, e con i tedeschi, durante la loro permanenza a Teramo. I fatti smentiscono da sé tali falsi accuse, determinate da bassi propositi di vendetta.
I fatti. Al medesimo Castelli erano stati fatti demolire, nel passato, molti fabbricati, cadenti per l'abbandono in cui erano lasciati, costituenti, quindi, un pubblico pericolo. Altri fabbricati, pure in cattive condizioni, erano tenuti chiusi. Lo scrivente, nella sua qualità di Podestà, fallite le trattative in via bonaria, disponeva, per qualcuno di essi, su autorizzazione della Prefettura, la requisizione, per potervi collocare gli Sfollati che vivevano ancora numerosi, nel fretto dell'inverno, nei corridoi, negli atri, nelle stalle, nelle strade.
A questo atto di doverosa umana solidarietà, fortemente sentita dal popolo, che divideva con gli Sfollati il proprio pane e i propri tuguri, il ricco Castelli opponeva ancora le sue obiezioni, il suo rifiuto. Né cedeva quando lo scrivente, con spirito eccessivamente conciliativo, riduceva la sua richiesta a due appartamenti soltanto, assumendosi, per renderli abitabili, la spesa per le necessarie riparazioni. Dinanzi alla sua nuova opposizione, non giustificata, si agiva d'autorità.
Per conseguire il suo intento, attribuiva, inoltre, al Podestà fatti ed atti che egli non ebbe neppure a pensare; quegli atti che si riferivano ad una perquisizione operata nella sua casa dai tedeschi prima, dalla Milizia poi. Perquisizione che conduceva, tra l'altro, al rinvenimento di una ingente quantità di grano, dai tarli e dai topi deteriorato, anzi trasformato in crusca, neppure questa non più usabile. Vi si rinveniva altra roba guasta.
Tali fatti determinavano il suo arresto. D'accordo con il suo avvocato, comm. Moruzzi, ebbi a perorare la sua causa presso il Prefetto, ottenendone la scarcerazione. Mi rimproverava questo intervento. Quando gli parve che si fosse presentata favorevole l'occasione, raccoglieva faticosamente firme compiacenti, poche in verità, mi denunciava per fatti che esistevano soltanto nella sua mente malata.
Possono ancora e meglio qualificare questo bisbetico uomo le sue stesse azioni, degne tutte di studio e di particolari provvedimenti. Lo stesso fratello, che dopo lunghi anni di liti giudiziarie non riesce ancora oggi ad entrare in possesso dell'eredità paterna, è una sua povera vittima. Vittime di questo uomo, caparbiamente litigioso, sono tutti coloro che con lui si vengono a trovare in rapporti d'affare. Prima i suoi contadini, i quali dovevano provocare sempre un litigio prima di entrare in possesso della loro parte di prodotti. Prodotti che erano raccolti dai campi, almeno sino alla legge su gli ammassi, con uno due ed anche tre mesi di ritardo, determinandone una prima sensibile perdita. L'altra perdita avveniva nei suoi fondaci, ove i prodotti venivano lasciati a marcire, sino alla loro distruzione, come il grano testé rinvenuto dagli organi di polizia.
Oggi egli, atteggiandosi a tribuno, si vuol presentare con la veste di patriota. Non ebbe ritegno, né pudore, il giorno della liberazione, dal discendere, con la coccarda rossa all'occhiello, tra il popolo, da lui pel passato maltrattato, affamato.
Quando però i veri patrioti erano nelle sofferenze e nei pericoli della montagna; quando lo scrivente restava al suo faticoso posto di responsabilità, offrendo a tutela della vita della sua città e dei suoi cittadini la sua vita, quest'uomo, che nessun servizio aveva mai reso né alla società, né alla patria, si rintanava nella sua casa, per continuare a preparare nell'ozio il veleno del male.
Ora venendo alla mia quistione personale, se sono rimasto al mio posto di Podestà di Teramo anche dopo l'armistizio è stato per un profondo sentimento del dovere. Nel grave momento che la città attraversava, nessuno avrebbe preso il mio posto. Abbandonarlo, in quell'ora e quando tutti fuggivano, sarebbe stata una defezione, se non una vigliaccheria, indegna di un soldato, quale io ero.
Dall'altra parte il riconoscimento della mia personale situazione, l'ebbi dallo stesso Maresciallo Badoglio, che mi mantenne in carica anche dopo la soppressione del P.N.F.. E' indubbio che se mi fossi reso soltanto sospetto di aver fatto, oltre che l'amministrazione, anche della politica, sarei stato rimosso dall'importante carica che rivestivo.
Così va interpretata anche la mia adesione al Fascio Repubblicano, data sempre il bene della città. Solo adesione. Se ancora esistono gli atti della Federazione fascista, risulterà che io non curai di ritirare successivamente la tessera (federati che si dovevano d'altra parte, ritenere sciolti da ogni vincolo e da ogni impegno, dopo l'aspra requisitoria del commissario prof. Morriconi, contro l'inganno teso, con il suo programma, dal nuovo Partito repubblicano). Nego poi - come il Castelli vorrebbe far credere - di aver collaborato con i tedeschi. Per evitare peggiori e più tragici eventi alla mia città ne ho potuto subire imposizioni e prepotenze; ma contro la parvenza di collaborazione, stanno fatti concreti a dimostrare la mia nascosta ribellione, sempre ed intimamente dominati dall'amore del mio paese.
Le enumero sommariamente:
a) Appena dopo l'armistizio, giungevano a Teramo, con feroci propositi di vendetta, truppe tedesche. Tre ufficiali, presentatisi nel mio ufficio, m'imponevano di invitare a sciogliersi le bande della montagna entro settanta ore. Scaduto tale termine, inutilmente, la città sarebbe stata bombardata.
Inoltre avrei dovuto presentare la lista di cento cittadini, delle migliori famiglie, da fucilare, per vendicare la morte di un loro ufficiale medico, ucciso dai ribelli del Bosco Martese.
Avrei dovuto, ancora, pubblicare un manifesto per avvertire la città che per ogni soldato tedesco ucciso nel territorio del comune, dovevano rispondere con la vita, cento cittadini.
Rifiutai di aderirvi. Alla loro minacciosa insistenza, offrii risolutamente all'ira del piombo nemico, il mio petto, la mia vita.
Con tale generosa offerta, che fortemente colpiva i tedeschi, salvavo la città ed i suoi cittadini.
b) Il tre gennaio, alle ore nove, ebbi visita dallo stesso Comandante della Piazza, invitandomi a dare, per le ore undici almeno cinquecento operai per lo sgombero della neve caduta abbondantemente con impedimento di ogni traffico. Le richieste precedenti, anche con bando, erano rimaste senza risultati. Se per l'ora fissata i cinquecento uomini non si fossero presentati la città sarebbe stata messa a fuoco.
Ancora una volta, aiutato dalla saggezza dei cittadini, che mi seguivano, riuscii a salvare, dalla feroce e perentoria minaccia, la mia città.
c) Nel processo contro l'avvocato Nanni Nicola, Podestà di Caramanico, chiamato a rispondere per ospitalità ad ufficiali Inglesi e per averli accompagnati in una ricognizione, intervenni dinanzi al Tribunale tedesco, spiegai la condotta del Nanni con lo spirito di gentilezza e di ospitalità della nostra gente abruzzese, ed ottenni che la richiesta della pena di morte si attenuasse in quella di pochi anni di carcere, già graziati.
d) Io sapevo, come tutti, che nel territorio della provincia si aggiravano elementi inglesi ed americani, protetti ed assistiti dalla popolazione. Ebbene, non ho mai fatto, né permesso che si facesse opera di investigazione e di delazione a loro carico.
e) Ho reso meno dura la vita agli internati politici, affidati, per l'amministrazione, alle cure del comune. I generi alimentari messi a mia disposizione per essi erano scarsissimi. Di conseguenza, per poter far giungere ai medesimi cibo sano ed abbondante, con mi rischio personale, dovevo alterare notevolmente le cifre, che ad essi si riferivano.
Più volte mi recai a trovarli e persino il giorno di Pasqua, quantunque malato, li visitai per portare loro la mia parola di fede e di conforto. Ed anche molto mi adoperai per la loro liberazione, in parte ottenuta.
f) Gratitudine e vivo ricordo di me dovranno serbare i molti ebrei, capitati per caso nel comune e che si ebbero ad affidare, non so per quale istinto, alla mia protezione. Non errarono. Li ebbi a sottrarre a tutte le ricerche da parte dei tedeschi e delle altre autorità di polizia. Ebbi sempre a negare, quando mi si faceva richiesta, la loro presenza nel territorio del mio comune. Li confortai, in ogni momento, con la mia parola, con il mio consiglio, dove era possibile, con una adeguata assistenza.
g) Fui del pari soccorrevole con le famiglie dei patrioti rifugiatisi in montagna, che a me si rivolgevano per la necessaria assistenza.
h) Non mancai di visitare, quale Podestà, gli ammalati e feriti Anglo-Americani, ricoverati nel nostro Ospedale. I loro morti furono seppelliti, con lo stesso pietoso culto dei nostri militari, nel cimitero di guerra, circondando di fiori le loro tombe.
i) Per disposizione tedesca, tutti gli sfollati che giungevano a Teramo dovevano proseguire per l'Alta Italia. Ma molti di questi nostri fratelli, sottratti al teutonico controllo, con il mio assenso, si ebbero a rifugiare nel territorio del comune, ove ricevevano, per vivere, la più larga assistenza in danaro, in generi, in indumenti.
l) Richiesi ed ottenni dal Comando Superiore tedesco un'ordinanza, da collocarsi, come fu collocata, alle porte della città, con la quale si regolava, si disciplinava la condotta delle truppe di stanza o di passaggio per Teramo. Ordinanza che molto giovava alla tranquillità, alla incolumità dei miei concittadini.
m) Erano stati arrestati, per ragioni politiche e per collaborazione ai patrioti della montagna, venti cittadini dei partiti antifascisti. Io intervenni, come sempre, in loro favore, ottenendone la scarcerazione.
n) Da Fascisti erano stati sostituiti, con apposite targhe, le denominazioni di Corso Umberto, Piazza Vittorio Emanuele e Piazza Dante, con altre denominazioni da essi scelte. Rifiutai di legalizzare, tali sostituzioni, con la necessaria deliberazione podestarile. Di conseguenza esse rimanevano giuridicamente prive di valore.
I fatti più importanti, sommariamente esposti, possono essere confermati da tutta la cittadinanza, e basterà anche una rapida inchiesta per aversene, contrariamente alle false affermazioni dell'avv. Castelli, la più ampia e sicura dimostrazione.
Teramo
(T. Col. Umberto Adamoli)

Appendice

Si è ritenuto utile pubblicare, a sostegno di alcune affermazioni contenute nello scritto che precede, qualche documento, primo tra essi una lettera a me diretta dalle buone Suore Domenicane, qui di passaggio nella loro dolorosa peregrinazione, conducendo con sé, amorevolmente, orfanelle affidate alle loro cure, alla loro assistenza, al loro affetto.
Anime buone, che hanno espresso, in forma religiosamente gentile, la loro gratitudine, i loro ringraziamenti, i loro auguri.
Ad esse si fa seguire altra lettera, non molto dissimile nello spirito, nei fiori dell'umana riconoscenza; ma scritta da persone di altra razza, viventi in altre bibliche credenze, in altri costumi, in altre passioni: scritte dai discendenti di Israele.
Entro questi due limiti si trovano quelle altre lettere, che non si ritiene di trascrivere, di gente di ogni condizione, colme di quelle espressioni, che sgorgano, come fresca polla, dal profondo dell'umana bontà.

Signor Podestà
Le Suore Domenicane Insegnanti e Infermiere di S. Caterina da Siena, unite nell'Orfanelle di Pescara, ringraziano di cuore per la bontà paterna avuta a loro riguardo nella breve ed indimenticabile sosta fatta a Teramo.
Ricambieremo tale carità usataci, con la preghiera, che insieme alle Orfanelle innalzeremo al Signore per la felicità Vostra e della Vostra famiglia e dell'intera città di Teramo. Che il Signore voglia risparmiare la tanto ospitale città, che fa dimenticare agli sfollati le loro sofferenze.
Forse non incontreremo più tanta bontà come a Teramo. Siamo state alloggiate (Ascoli) in un convento di clausura perché la villa Merli è stata presa dai Tedeschi.
Vogliate estendere i nostri ringraziamenti a tutti gli impiegati dell'Eca, che furono con noi solleciti e gentili.
Inviamo i nostri ringraziamenti e vi ossequiamo.
Sr. M. Rosaria Bontempo


Al T. Colonnello Adamoli Umberto già Podestà di Teramo

Noi sottoscritti desideriamo, con questa dichiarazione spontanea, esprimervi anche per iscritto la nostra profonda gratitudine per aver salvato noi le nostre famiglie e tanti altri correligionari che hanno lasciato nel frattempo Teramo, dalla ferocità tedesca. Difatti ai primi di dicembre scorso, le autorità tedesche avevano comandato I' arresto in massa di tutti gli Israeliti. Voi, Podestà di Teramo, eludendo la vigilanza teutonica e fascista, ci avete avvisati tempestivamente del pericolo che incombeva sulle nostre teste raccomandandoci paternamente di allontanarci da Teramo o di rifugiarci presso quelle famiglie, fortunatamente numerose, non contaminate dal virus della peste nazista e ci assicuravate ogni qualsiasi aiuto.
E' pure a nostra conoscenza che durante il terrorismo teutonico vi siete reso benemerito della popolazione teramana e sappiamo anche che di concerto col Comandante del Campo di Concentramento istituito dalle belve tedesche per sfogare il veleno che hanno sempre in corpo, somministravate tra I' altro agli internati, ricorrendo ad un abile stratagemma, doppia razione di cibo.
Così alla nostra benedizione si aggiungano quelle della popolazione e degli internati.

Con riconoscente devozione, li 14 luglio 1944".
(seguono numerose firme).


[segue...]

Torna alla videata principale Umberto