Umberto Adamoli
Nel turbinio d'una tempesta
(dalle pagine del mio diario. 1943-1944)

Prefazione

[1] L'amore per il luogo natio, che sempre eleva ed infiamma, mi induceva ad accettare la carica di Podestà, quando in una tranquilla vita, potevo rimanere a godere, nella verde campagna, in cui mi ero ritirato, un placido riposo.
Riposo al quale mi dava diritto la lunga operosità, resa a favore della patria: resa, nella luce degli ideali e dei santi umani doveri, su le Alpi, nelle sofferenze delle gelide bufere, nei pericoli della valanga; resa nelle isole romite, nel disagio delle solitudini, nella melanconia dei vasti silenzi, nella minaccia delle pestifere paludi; resa, in più forti sentimenti, in guerra, nell' orgasmo della trincea, nelle fiamme della battaglia, dalle cime candide dei monti, alle sponde verdi dei fiumi, sacri taluni al sangue, sacri alla vittoria.
Lo stesso amore mi tratteneva al mio posto, quando, in giorni di lutto, la rabbia tedesca, tendente, nel nuovo scompiglio, alla vendetta ed alla distruzione, assaliva, rendeva vulcanica questa nostra silenziosa contrada.
Lo stesso amore m'induce oggi ancora a raccogliere, per la ricordanza, in pochi episodi, taluni momenti di quella storia, aspra di travaglio, colma di passioni, santa di sacrificio.
Serviranno alla elevazione dei nostri nepoti, ansiosi, certo, di notizie; ma serviranno più ancora a far pensare, a far meditare coloro che, nella corsa inesorabile del tempo, nelle dolorose e liete vicende, si succederanno in quel posto di comando, ove io già fui, dove la vita dalla modesta prosa si elevava, talvolta, ad accenti di appassionata umanità, a palpiti di nobile poesia.
Poesia che saliva non dalla serenità, ma negli umani contrasti, dagli eventi oscuri, attorno ai quali rumoreggia va nera la tempesta, ghignava bieca la morte.
Fuggi poteva sussurrare, ansioso, lo spirito dei pavidi, ma non trovava ascolto. Non si fugge neppure la morte nell'adempimento sacro del dovere, nella visione superiore della vita.
Non fuggivo, come non dovranno fuggire da quel posto, qualunque gli eventi, i successori vicini e lontani. Successori che vi dovranno giungere, quindi, senza inganno, ma con animo mondo da ogni viltà, libero da ogni egoismo, puro da ogni bassa ambizione. Vi dovranno giungere, in un'alta concezione, con il cuore aperto a tutte le voci, pronto a rispondere a tutti i doveri, a compiere tutti i sacrifici.
Non degno si dimostrerebbe, adunque, dell' alta onorifica carica, chi non sapesse scrivere su la propria insegna, e non serbarvi fermamente fede, il motto:
"Nulla per sé, tutto per gli altri, anche la vita".

UMBERTO ADAMOLI

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