— Il bersagliere Mussolini deve presentarsi, armato, al Comando del Reggimento! —
Zaino in spalla. Un'ora di marcia. La sede del Comando è in una modesta e rozza baracca di legno.
— Prima di tutto — mi dice il colonnello — ho il piacere di stringervi la mano e sono lieto di avervi nel mio Reggimento; poi, avrei un incarico da affidarvi. Voi dovreste rimanere con me. Siete sempre in prima linea, esposto, anche, al fuoco dell'artiglieria. Dovreste sollevare il tenente Palazzeschi di una parte del suo lavoro amministrativo e dovreste scrivere, nelle ore di sosta, la storia del Reggimento, durante questa guerra. È una proposta quella che vi faccio, beninteso; non un ordine! —
Il colonnello Giuseppe Barbiani è un romagnolo, di Ravenna. Ha infatti la «linea» del romagnolo.
Gli rispondo:
— Preferisco rimanere coi miei compagni in trincea...
— E allora non se ne parla più. Accettate un bicchiere di vino. —
Non è buono il vino del colonnello, ma in mancanza di meglio...
Ho chiesto e ottenuto di passare alla 7a compagnia per essere insieme col tenente Giraud.
Alcuni bersaglieri, addetti al Comando, mi manifestano le loro meraviglie per il mio rifiuto.
— Sono alla guerra per combattere, non per scrivere! —
Risalendo il monte, passo vicino alle cucine. C'è un enorme 305 non esploso. Poco lungi un cadavere di austriaco, abbandonato. Il morto stringe ancora fra i denti un lembo di bavero della sua tunica che — strano! — è ancora intatta. Ma sotto, attraverso la carne in putrefazione, si vedono le ossa. Gli mancano le scarpe. Si capisce! Le scarpe degli austriaci sono molto migliori delle nostre. Poco prima di arrivare alla trincea, incontro Giraud col mio nuovo capitano, Adolfo Mozzoni. Gli riferisco il mio colloquio col colonnello. Si congratula del mio rifiuto che giudica «nobilissimo».
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