Non è semplice e non è grande il linguaggio di questo ignoto soldato operaio?
È venuto l'ordine di dare il cambio alla 9a compagnia che occupa uno dei costoni avanzati del Vrsig. Si parte. Marcio in testa alla colonna, insieme col tenente Giraud. Tragitto lungo e faticoso. Attraversiamo due passaggi pericolosi. Nell'uno c'è il pericolo delle mitragliatrici; nell'altro c'è il rischio di essere schiacciati dai macigni che gli austriaci rotolano continuamente dall'alto. Il mio caposquadra è il calabrese Lorenzo Pinna di Nicastro, studente, volontario. Suo padre è un ingegnere del Genio Civile.
— Chi avrebbe mai pensato che mi sarei trovato con Mussolini soldato semplice! Lo scrivo subito a mio padre, che spesso mi parlava di lei. —
Nel primo passaggio scoperto, che attraversiamo — molto distanziati gli uni dagli altri e di corsa — c'è il cadavere di un soldato austriaco. È voltato con la faccia contro terra. Rotolando dall'alto, l'uniforme è andata in brandelli. La schiena è nuda e nera come l'inchiostro. Fetore. Il tenente Giraud ci precede sempre. Nelle sue parole, mi sembra di scorgere qualche oscuro presentimento.
— Vedi, Mussolini, qui si può morire e si muore, senza combattere... —
Abbiamo appena occupato il ripidissimo pendio del monte, che una triste notizia si diffonde fra noi. Il tenente Giraud è rimasto ferito gravemente dalla fucilata di una vedetta austriaca, mentre si recava insieme col capitano e il sergente a ispezionare la posizione. La pallottola gli è entrata dalla spalla. Vedo venire verso di me il portaferiti Alberto De Rita che mi dice:
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