— Tenente, tagli il resto! E mi faccia dare un po' di pagnotta! —
Questo stoicismo è il prodotto dell'atmosfera in cui si vive. Nessun soldato ferito vuol mostrarsi debole e pauroso del proprio sangue, dinanzi ai compagni. Non solo. C'è una ragione più profonda. Non si geme per una ferita, quando si corre continuamente il rischio di morte. La ferita è il meno peggio. Comunque, il silenzio superbo di questi umili figli d'Italia dinanzi al dolore della carne straziata dall'acciaio rovente, è una prova della magnifica solidità della nostra stirpe.
19 Ottobre.
Notte agitata. Bombardamenti lontani e profondi. Dicono che è in direzione di Tolmino e Gorizia. L'«azione» sembra fissata per domani. Sole. Comincia il concerto maestoso, formidabile delle nostre artiglierie. Chi sta — anche per una giornata sola — sotto il bombardamento di un centinaio di cannoni che sparano simultaneamente, riporta una impressione indimenticabile, sbalorditiva.
Alla sera, si è intontiti. I nervi non rispondo più.
* * *
Alcune voci del gergo di guerra, in voga nel mio reggimento:
scalcinato = soldato debole;
baule = cretino;
fifa = paura;
svirgola = cannonata;
omnibus = proiettile da 305;
pizzicare = ferire;
spicciarsela = trovarsi nell'imbarazzo;
pallottola intelligente = pallottola che ferisce soltanto;
pipa = rimprovero;
girare la matricola = idem;
far scrivere a casa = togliere qualcosa a un soldato;
far fesso = idem;
far camorra = farsi la parte del leone;
essere fuori uso = inabile alle fatiche di guerra;
marcar visita = recarsi dal medico;
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