Io tardo un poco, ma due granate che sfiorano il nostro riparo mi spingono nella tana. S'inizia il concerto delle artiglierie. Ore lunghe di attesa e di immobilità. I nostri cannoni tuonano sempre per proteggere l'avanzata di alcune squadre del 27° battaglione. Ore cinque. Usciamo dalla buca, a dispetto del solito cannoncino austriaco che ci batte a shrapnels. Passano, nel crepuscolo, i feriti dell'«azione». Un sergente è il primo. Vengono due capitani: il Morozzo e il Mirto. Quest'ultimo ha la testa bendata. Passa fumando, tranquillamente, una sigaretta. Il 39° battaglione ha avuto 54 feriti e nemmeno un morto. Intanto gli austriaci hanno incendiato il «boschetto» per impedire la nostra avanzata. Le fiamme altissime arrossano l'orizzonte.
22 Ottobre.
Tre mine di proporzioni colossali sono state fatte scoppiare dagli austriaci sulla cima dell'Jaworcek, sollevando un turbine di macigni e di sassi. Nessuna vittima.
Oggi, secondo giorno dell'azione. Tuonano sempre i cannoni. Alla nostra sinistra, sul Piccolo Jaworcek, fuoco vivissimo di fucileria.
23 Ottobre.
Ieri sera — a notte fatta — quattro colpi da 280. Poi, a due riprese, fuoco intenso di fucileria austriaca e di cannoni di piccolo calibro. Dopo, durante la notte, calma. La Divisione ha mandato un fonogramma d'augurio all'11° bersaglieri, nella ricorrenza, tragica e gloriosa ad un tempo, di Sciara-Sciat. Il mio caposquadra Mario Simoni, di Camerino, che si trovava in Libia ed era attendente del colonnello Fara, mi racconta spesso come si svolse l'episodio di Sciara-Sciat.
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